
Saba Anglana, cantante, attrice, ora scrittrice, rilegge la sua vita attraverso una genealogia che parte da una bambina etiope in una fuga disperata da un uomo somalo: «Riconosci quel cappello di panno rosso sulla testa, ed è l’ultima cosa che vedi in terra d’Etiopia, prima che ti rapisca per portarti oltre il confine, verso la Somalia. È solo così che io posso esistere». Questi gli inizi del romanzo, narrato in prima persona, intitolato La signora Meraviglia (Palermo, Sellerio, 2024), che racconta le vicissitudini della giovane Abebech. Ella si troverà a vivere a Mogadiscio una nuova vita, con molti figli e con un senso di vuoto e di estraneità rispetto alla terra che calpesta, somala e non etiope. Il tema dell’estraneità rispetto a una terra e a una cultura è uno dei fili rossi che attraversano tutto il romanzo. Abebech e i suoi figli rimarranno sempre ahmar, che in dialetto somalo è il termine con cui si indicano gli etiopi: si è definiti sempre dagli altri.
In questa storia si innesta quella contemporanea di zia Dighei, nipote di Abebech, che, dopo quarant’anni in Italia, sta cercando di ottenere la cittadinanza italiana. Non si tratta solo di avere un documento, ma di voler trovare una propria identità, un luogo di appartenenza: «Se chiedo a mia zia cosa si sente di essere, sa cosa mi risponde?», dice Saba all’avvocato, che segue il complesso iter per raccogliere i documenti che serviranno per la richiesta della cittadinanza italiana. «Non saprei. Etiope? Somala? Quasi italiana?». «Niente», risponde Dighei, intervenendo per la prima volta. «Proprio così, avvocato», ribadisce. «Mia zia dice che si sente niente».
Tra passato e presente, Anglana racconta storie di luoghi, di culture, in un andirivieni di incontri, scontri, momenti di violenza e odio a Mogadiscio, e ostacoli insormontabili per ottenere un documento che sancisca un’appartenenza a uno Stato, tra sportelli, in balìa spesso di chi non ha alcun interesse a rendere umano un percorso burocratico complesso e spesso labirintico. Ma proprio questa difficoltà, come le tante altre vicissitudini di Abebech e della sua famiglia, renderanno possibile il racconto di questa storia di stranieri instancabili, in cui dal deserto esistenziale fioriscono momenti di comprensione, di compassione e di amore.