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Il 18 dicembre 2023, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha pubblicato, con l’approvazione di papa Francesco, la Dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni. Il documento, aprendo alla possibilità di benedire coppie dello stesso sesso, ha suscitato reazioni e interpretazioni varie. Cercheremo di presentare, in primo luogo, il contenuto della Dichiarazione che, nel frattempo, è stata oggetto di un apposito comunicato stampa del Dicastero per la Dottrina della Fede sulla sua ricezione. Di seguito, si propone una riflessione sulle problematiche pastorali sollevate.
Il contenuto della Dichiarazione
Nella Presentazione inserita all’inizio del documento, il cardinale Víctor Fernández ribadisce che il lavoro del Dicastero al quale presiede «deve favorire, insieme alla comprensione della dottrina perenne della Chiesa, la ricezione dell’insegnamento del Santo Padre». Egli sottolinea, di seguito, che la Dichiarazione «resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione». Lo scopo del documento sarebbe, invece, «quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni», con la finalità di «ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica». In questo senso, la Presentazione riconosce che «tale riflessione teologica, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un vero sviluppo a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa», motivo per cui il testo ha assunto la tipologia di Dichiarazione. In tale contesto di «vero sviluppo» si ammette «la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status e modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio»[1].
L’Introduzione, nel presentare il contesto in cui si è sviluppata la riflessione che ha portato alla stesura del documento, ricorda il Responsum ad dubium, pubblicato il 22 febbraio 2021 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui si afferma che la Chiesa non ha il potere di benedire unioni fra persone dello stesso sesso[2]. Si richiama, inoltre, la risposta di papa Francesco al secondo dei cinque quesiti posti da due cardinali, pubblicata il 25 settembre 2023. In essa, il Papa afferma che «la Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli. Solo una tale unione la chiama “matrimonio”», per cui «la Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è». Papa Francesco appella, però, alla «carità pastorale», che deve permeare tutte le decisioni e atteggiamenti, e alla «prudenza pastorale». Essa «deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano una concezione errata del matrimonio. Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio»[3].
Con la Dichiarazione Fiducia supplicans, il Dicastero per la Dottrina della Fede riprende quanto suggerito da papa Francesco, ritenendo che sia opportuno «approfondire ulteriormente la questione, soprattutto nei suoi risvolti di ordine pastorale», evitando in ogni caso di creare delle confusioni «tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale “unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generale figli” e ciò che lo contraddice. Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio», per la quale «soltanto nel contesto del matrimonio i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma»[4].
La parte centrale della Dichiarazione, di carattere biblico-teologico, approfondisce il valore delle diverse benedizioni, accogliendo l’invito di papa Francesco di ampliare e arricchire il loro significato. Si parte dal significato liturgico dei riti di benedizione, affermandosi che, «dal punto di vista strettamente liturgico, la benedizione richiede che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa»[5]. «Per tale motivo, dato che la Chiesa ha da sempre considerato moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimonio, essa non ha il potere di conferire la sua benedizione liturgica quando questa, in qualche modo, possa offrire una forma di legittimazione morale a un’unione che presuma di essere un matrimonio oppure a una prassi sessuale extra-matrimoniale»[6].
Ribaditi questi punti fermi, la Dichiarazione propone, di seguito, «una comprensione più ampia delle benedizioni»[7], con la finalità che non si pretenda «per una semplice benedizione, le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti. […] Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione»[8].
Ripercorrendo il senso delle benedizioni nella Sacra Scrittura, il Documento ricorda, quasi come in una sintesi, il momento dell’Ascensione in cui «l’ultima immagine di Gesù sulla terra sono le sue mani alzate, nell’atto di benedire» (cfr Lc 24,50-51)[9], per poi concludere: «Nel suo mistero di amore, attraverso Cristo, Dio comunica alla sua Chiesa il potere di benedire. Concessa da Dio all’essere umano ed elargita da questi al prossimo, la benedizione si trasforma in inclusione, solidarietà e pacificazione. È un messaggio positivo di conforto, custodia e incoraggiamento. La benedizione esprime l’abbraccio misericordioso di Dio e la maternità della Chiesa che invita il fedele ad avere gli stessi sentimenti di Dio verso i propri fratelli e sorelle»[10].
Partendo dalla definizione appena citata, la Dichiarazione propone, quindi, una nuova comprensione teologico-pastorale delle benedizioni. Tale comprensione si basa sul convincimento che la richiesta di una benedizione implica sapersi «bisognoso della presenza salvifica di Dio nella sua storia», riconoscendo la Chiesa «come sacramento della salvezza che Dio offre», per cui «cercare la benedizione nella Chiesa è ammettere che la vita ecclesiale sgorga dal grembo della misericordia di Dio e ci aiuta ad andare avanti, a vivere meglio, a rispondere alla volontà del Signore»[11]. Una richiesta di benedizione deve, di conseguenza, essere «valorizzata, accompagnata e ricevuta con gratitudine», poiché le persone richiedenti manifestano «sincera apertura alla trascendenza, la fiducia del loro cuore che non confida solo nelle proprie forze, il loro bisogno di Dio e il desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei suoi limiti»[12]. In queste condizioni, «la prudenza e la saggezza pastorale possono suggerire che, evitando forme gravi di scandalo o confusione fra i fedeli, il ministro ordinato si unisca alla preghiera di quelle persone che, pur in una unione che in nessun modo può essere paragonata al matrimonio, desiderano affidarsi al Signore e alla sua misericordia, invocare il suo aiuto, essere guidate a una maggiore comprensione del suo disegno di amore e verità»[13].
È appunto tenendo in considerazione questi presupposti appena elencati, che la Dichiarazione «colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio»[14]. Si tratta di invocare l’aiuto di Dio «su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero, di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo»[15]. La benedizione consisterebbe, allora, in una supplica a Dio perché conceda gli aiuti «affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione più grande dell’amore divino»[16]. Con un tale gesto «la Chiesa accoglie tutti coloro che si avvicinano a Dio con cuore umile, accompagnandoli con quegli aiuti spirituali che consentono a tutti di comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro esistenza»[17]. In altre parole, «è questa una benedizione che, benché non inserita in un rito liturgico, unisce la preghiera di intercessione all’invocazione dell’aiuto di Dio di coloro che si rivolgono umilmente a lui»[18]. Il pastore, quindi, «non pretende di sancire né di legittimare nulla»[19]. Invece, «nella breve preghiera che può precedere questa benedizione spontanea, il ministro ordinato potrebbe chiedere per costoro la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo ed aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà»[20]. Si ribadisce, pure, che una tale benedizione «mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso»[21].
Infine, si insiste ancora una volta che «attraverso queste benedizioni che vengono impartite non attraverso le forme rituali proprie della liturgia, bensì come espressione del cuore materno della Chiesa, analoghe a quelle che promanano in fondo dalle viscere della pietà popolare, non si intende legittimare nulla, ma soltanto aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà»[22]. Ovvero, «qualsiasi benedizione sarà l’occasione per un rinnovato annuncio del kerygma, un invito ad avvicinarsi sempre di più all’amore di Cristo»[23].
In un avvertimento finale, che possiamo dedurre provenga dalla consapevolezza del prevedibile impatto del documento, si anticipa, a proposito delle benedizioni di coppie dello stesso sesso, che quanto detto è ritenuto «sufficiente ad orientare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a tal proposito»[24].
La ricezione della Dichiarazione e i chiarimenti del Dicastero
La Dichiarazione è stata ampiamente divulgata dai mass media ed è stata inoltre oggetto di comunicati di diverse conferenze episcopali o di singoli vescovi. In genere, le reazioni e i commenti si sono incentrati sulla possibilità di benedire le coppie dello stesso sesso e, molto di meno, sull’atteggiamento pastorale nei confronti di altre coppie in situazione irregolare, problematica oggetto di altri documenti, in particolare l’Esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco, del 2016.
In molti esempi di accoglienza esplicita della Dichiarazione, si ricorda che la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla sessualità non è cambiata, come si ribadisce diverse volte nel documento stesso. Altre reazioni vedono il contenuto della Dichiarazione come un primo passo nella direzione giusta e diversi gruppi di omosessuali cattolici hanno manifestato apprezzamento. Infine, non sono mancate nemmeno le reazioni, anche a livello di singole conferenze episcopali, in cui si è espressa la convinzione di non poter applicare quanto stabilito dalla Dichiarazione perché sarebbe occasione di potenziale confusione e scandalo tra i fedeli. Proprio in questo senso va la lettera scritta dal card. Ambongo Besungu, presidente del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, pur sottolineando la libertà di scelta di ogni vescovo nella propria diocesi e l’indiscusso attaccamento al successore di Pietro.
La ricezione della Dichiarazione è, quindi, molto diversificata e possiamo immaginare che continueranno, in futuro, i dibattiti e gli approfondimenti. Dal punto di vista teologico, sarà probabilmente necessario approfondire ulteriormente il significato della distinzione tra le benedizioni liturgiche, con un carattere rituale e giuridico più formale, e quelle spontanee o informali, considerate vicine alla pietà popolare. La Dichiarazione considera queste ultime come particolare «espressione del cuore materno della Chiesa»[25], ma, ovviamente, non esclude che anche le benedizioni liturgiche lo siano, in quanto espressione della benevolenza, della grazia e della provvidenza di Dio che si manifesta in tutte le situazioni di vita dei suoi figli, come si constata percorrendo il Benedizionale. D’altronde, ogni benedizione, formale o informale che sia, è sempre annuncio del Vangelo e invito alla conversione, poiché essere faccia a faccia con Cristo è un incontro che trasforma.
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Davanti alla diversità di reazioni al documento e al dibattito da esso suscitato, il Dicastero per la Dottrina Fede ha pubblicato, il 4 gennaio 2024, un apposito comunicato stampa circa la ricezione di Fiducia supplicans. Nel testo si ribadiscono i punti essenziali della Dichiarazione e si fanno alcune precisazioni[26]. Nel comunicato, firmato dal Prefetto del Dicastero, Cardinale Víctor Fernández, e dal Segretario per la Sezione Dottrinale, Mons. Armando Matteo, si sottolinea, innanzitutto, la chiarezza e la fedeltà del documento alla dottrina classica della Chiesa sul matrimonio e la sessualità. Per quanto riguarda la ricezione pratica, si riconosce che i documenti come Fiducia supplicans, «possono richiedere, nei loro aspetti pratici, più o meno tempo per la loro applicazione a seconda dei contesti locali e del discernimento di ogni Vescovo diocesano con la sua Diocesi. In alcuni luoghi non ci sono difficoltà per un’applicazione immediata, in altri si dà la necessità di non innovare nulla mentre ci si prende tutto il tempo necessario per la lettura e l’interpretazione»[27]. In altre parole, si ricorda che «ogni Vescovo locale, in virtù del suo proprio ministero, ha sempre il potere di discernimento in loco, cioè in quel luogo concreto che conosce più di altri perché è il suo gregge»[28]. Per questo motivo, il Dicastero sottolinea che «la prudenza e l’attenzione al contesto ecclesiale e alla cultura locale potrebbero ammettere diverse modalità di applicazione, ma non una negazione totale o definitiva di questo cammino che viene proposto ai sacerdoti»[29]. Si riconosce, inoltre, che «in diversi Paesi ci sono forti questioni culturali e perfino legali che richiedono tempo e strategie pastorali che vanno oltre il breve termine»[30]. Sarà il caso dei Paesi in cui l’omosessualità è in varia misura proibita e criminalizzata. Il Dicastero afferma che in questi casi, «al di là della questione delle benedizioni, vi è un compito pastorale grande e di largo respiro che include formazione, difesa della dignità umana, insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa e diverse strategie che non ammettono fretta»[31].
A proposito della distinzione tra due forme differenti di benedizioni, quelle «liturgiche e ritualizzate» e quelle «spontanee e pastorali», che viene considerata la vera novità del documento, il comunicato stampa ribadisce che queste ultime «non sono una consacrazione della persona o della coppia che le riceve, non sono una giustificazione di tutte le sue azioni, non sono una ratifica della vita che conduce»[32] e non pretendono «di giustificare qualcosa che non sia moralmente accettabile»[33]. Si tratta, sì, di esprimere vicinanza pastorale che è cosa diversa dal ratificare un modo di vita[34]. Appunto per evitare confusione, viene precisato nel comunicato stampa che tali benedizioni non devono avvenire «in un posto importante dell’edificio sacro o di fronte all’altare»[35].
Le problematiche pastorali sollevate
Al centro della Dichiarazione sta, quindi, la preoccupazione pastorale: con quali gesti possono i ministri ordinati manifestare ai fedeli, in qualunque situazione essi si trovino, accoglienza e vicinanza, invitandoli, allo stesso tempo, al confronto della propria vita con l’esigenza del Vangelo? Con quali atteggiamenti i ministri ordinati possono essere un segnale della presenza di Dio, anche nel caso di coppie in situazione irregolare o formate da persone dello stesso sesso, senza contraddire l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la sessualità? A queste domande, che nascono dall’esperienza pastorale di molti ministri ordinati, la Dichiarazione risponde, offrendo la possibilità di impartire, in certe circostanze, una benedizione che non è l’approvazione di una situazione non conforme al Vangelo, bensì un invito ad avvicinarsi umilmente a Cristo, senza porre dei limiti all’azione trasformatrice della sua grazia.
Possiamo ammettere che, in certe situazioni e contesti, possa essere difficile evitare lo scandalo o la confusione. Oppure, che non sia facile la distinzione tra i gesti di accoglienza e l’approvazione di una situazione irregolare. Perciò, il discernimento del ministro ordinato non potrà prescindere, davanti a una richiesta di benedizione, di valutare se ci sono le condizioni minime per poterla impartire: in particolare, umiltà e apertura alla verità annunciata dalla Scrittura e dal Magistero della Chiesa. Allo stesso modo, deve essere verificato che la richiesta di benedizione non sia una rivendicazione o una richiesta di approvazione di un legame. Va considerato, d’altra parte, che l’accoglienza non è mai teorica e non può fare a meno di gesti concreti. Nel caso delle persone con tendenze omosessuali, il Catechismo della Chiesa Cattolica, pur considerando una tale tendenza «oggettivamente disordinata», afferma che queste persone devono essere accolte «con rispetto, compassione, delicatezza»[36]. Ciò che è ribadito nella Dichiarazione Fiducia supplicans è che, oltre alla partecipazione attiva nella comunità cristiana, i ministri ordinati potranno manifestare tale «rispetto, compassione, delicatezza», anche nel caso di coppie dello stesso sesso, con il tipo di benedizione previsto dal documento, tenendo conto della prudenza pastorale e della sensibilità della propria comunità. Si potrebbe aggiungere che la benedizione è una possibilità, non un obbligo. Obbligo, sì, è accogliere, accompagnare, aiutare a fare dei passi, anche se piccoli, in direzione della verità del Vangelo.
La chiave di lettura della Dichiarazione sembra essere, quindi, il desiderio di accompagnare tutte le persone e di farsi mediatori della grazia di Dio che chiama tutti a una vita nuova. Ciò richiede disponibilità, tempo e umiltà. Affinché questa vita nuova si possa manifestare, sarà fondamentale che il ministro ordinato e la coppia si pongano umilmente davanti a Dio, chiedendo la sua luce e la sua guida. Se sarà questa la base di partenza, possiamo credere che, allontanando strumentalizzazioni e gesti rivendicativi e identitari, l’atteggiamento materno della Chiesa potrà generare vita rinnovata e trasformata, la vita propria di chi si affida al Signore e alla sua misericordia.
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[1]. Dicastero per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Fiducia supplicans, 18 dicembre 2023.
[2]. Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, «Responsum» ad un «dubium» circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, 22 febbraio 2021.
[3]. Francesco, Risposte ai dubia presentati da due cardinali, 25 settembre 2023.
[4]. Dicastero per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Fiducia supplicans, cit., n. 4.
[5]. Ivi, n. 9.
[6]. Ivi, n. 11.
[7]. Ivi, n. 13.
[8] . Ivi, n. 12.
[9] . Ivi, n. 18.
[10]. Ivi. n. 19.
[11]. Ivi, n. 20.
[12]. Ivi, n. 21.
[13]. Ivi, n. 30.
[14]. Ivi, n. 31.
[15]. Ivi.
[16]. Ivi.
[17]. Ivi, n. 32.
[18]. Ivi, n. 33.
[19]. Ivi, n. 34.
[20]. Ivi, n. 38.
[21]. Ivi, n. 39.
[22]. Ivi, n. 40.
[23]. Ivi, n. 44.
[24]. Ivi. n. 41.
[25]. Ivi, n. 40.
[26]. Cfr Dicastero per la Dottrina della Fede, Comunicato stampa circa la ricezione di «Fiducia supplicans», 4 gennaio 2024.
[27]. Ivi, n. 2.
[28]. Ivi.
[29]. Ivi.
[30]. Ivi, n. 3.
[31]. Ivi, n. 4.
[32]. Ivi.
[33]. Ivi, n. 5.
[34]. Cfr ivi, n. 6.
[35]. Ivi, n. 5.
[36]. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358.