
Don Sturzo e l’Aventino
Sul dibattito che si era aperto, dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti[1], circa il modo di procedere dei cattolici militanti nei confronti del governo Mussolini – accusato da molti di aver organizzato o permesso il delitto –, intervenne il 6 settembre 1924 anche don Luigi Sturzo, con un articolo su Il Popolo, ormai divenuto il portavoce dei cosiddetti «popolari collaborazionisti», perché, per un certo periodo, avevano sostenuto il governo Mussolini. L’ex segretario politico del Partito popolare italiano (Ppi), pur non essendo favorevole alla scelta dell’Aventino[2] (secondo lui, infatti, le opposizioni avrebbero dovuto combattere il fascismo non soltanto sul piano morale, ma anche e soprattutto su quello politico, e l’unica sede adatta per fare questo era il Parlamento), giudicava però un fatto positivo il progetto di una collaborazione attiva tra le forze aventiniane per sbloccare la situazione politica e ridare nuova vita alle istituzioni democratiche. Inoltre, considerava che un accordo politico tra cattolici e socialisti moderati era ormai possibile, avendo questi ultimi imboccato la via della democrazia, lasciandosi alle spalle quella rivoluzionaria ed essendosi liberati dei vecchi pregiudizi anticlericali. «Oggi – scriveva don Sturzo –, meno i comunisti, gli altri socialisti si sono posti sul terreno della costituzionalità, della libertà e della legalità. Alcuni di loro dicono che questa è solo una posizione tattica, un momento della dialettica della loro azione, la quale rimane perfettamente rivoluzionaria; ma essi stessi forse non credono a quello che dicono o certo si illudono assai»[3].
Tre giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, il 9 settembre 1924, il Papa intervenne direttamente sulla questione politica dibattuta tra i cattolici: lo fece in un’udienza agli studenti universitari della Fuci, reduci dal loro congresso di Palermo. Pio XI, dopo un breve preambolo, nel quale ribadì il principio che l’Azione cattolica italiana (Aci) non era chiamata a svolgere un’azione politica, ma religiosa e culturale, affrontò direttamente, come era suo solito, la questione della collaborazione politica tra cattolici e socialisti: «Ora tra noi circolano purtroppo idee rivelatrici di pericolosa impreparazione. Si dice, per esempio, che per cooperare ad un male basta una qualunque ragione di pubblico bene; ma ciò è falso: una tale cooperazione (che, ben s’intende, non può essere che materiale) non può essere giustificata che dalla necessità ineluttabile per il fine di evitare un male peggiore. Si cita altresì la collaborazione dei cattolici con i socialisti in altri Paesi; ma si confondono, per
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