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ABSTRACT – Dall’epoca della Rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini e della cosiddetta «crisi dei diplomatici» del 1979-81, tra Iran e Stati Uniti non c’era stato uno scontro così duro come in questi tempi, cioè dopo che il presidente Donald Trump, l’8 maggio 2018, si è ritirato dall’accordo sul nucleare iraniano, firmato nel 2015 tra l’Iran e i 5 Paesi del Consiglio di sicurezza dell’Onu con diritto di voto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina), più la Germania.
Trump, come aveva annunciato, ha fatto scattare, in agosto e recentemente in novembre, sanzioni economiche e commerciali contro la Repubblica islamica iraniana «per scongiurare che il regime che sostiene il terrorismo in tutto il Medio Oriente possa arrivare alla bomba nucleare». Queste sanzioni, in particolare le ultime, stanno mettendo in ginocchio la vita economica del Paese e, sostengono alcuni analisti, sono destinate a provocare un cambiamento di rotta da parte del governo di Teheran non soltanto sul programma nucleare, vanificando così i termini di un accordo faticosamente raggiunto dalla diplomazia internazionale, ma anche su quello missilistico e, in generale, sulla sua strategia di influenza in Medio Oriente. D’altra parte, appare tuttavia improbabile che le sanzioni spingano il popolo iraniano a mettere in atto un regime change.
Dall’attuale amministrazione statunitense la Repubblica islamica è considerata uno Stato con ambizioni imperialiste, seppure in ambito regionale. Questo indirizzo è rafforzato dalle continue pressioni esercitate su Trump dai sauditi, nemici storici degli iraniani, e dagli israeliani. Secondo i nemici di Teheran, cioè una parte degli Stati sunniti capitanati dall’Arabia Saudita, «l’impero persiano non può essere contenuto, ma solo distrutto, eliminato». Alla base di questa contrapposizione, secondo alcuni studiosi, ci sarebbe la lotta religiosa tra sciiti-duodecimani e sunniti-wahhabiti per la leadership morale del mondo islamico.
In realtà, sebbene l’elemento confessionale abbia una grande importanza, soprattutto nell’ambito della propaganda, esso è strumentale agli interessi politici ed economici delle parti in conflitto. Il motivo che ha generato l’ostilità fra i due Paesi leader del mondo islamico negli ultimi tempi è stato la forsennata corsa agli armamenti per potenziare la propria difesa interna ed esterna.
Siamo forse agli inizi di un nuovo rovinoso conflitto mediorientale, come quello siriano che si trascina da ben 8 anni, e che vede, tra gli altri (la Russia di Putin in testa), vittorioso il fronte sciita, di cui Teheran ha la guida spirituale? Nonostante alcune dichiarazioni forti e bellicose del presidente Trump, gli Usa non sembrano intenzionati a entrare in un conflitto che dall’intelligence statunitense è considerato difficile e inconcludente.
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IRANIAN NUCLEAR AND THE UNITED STATES
Since the era of Ayatollah Khomeini’s Islamic revolution (1979), there had not been a clash between Iran and the United States as hard as in recent times, that is since President Donald Trump’s withdrawal from the Iranian nuclear agreement, May 8, 2018. Trump also said that his administration would immediately trigger economic and trade sanctions against the Islamic Republic of Iran – as indeed has happened – to prevent the Iran regime, which according to the United States supports terrorism throughout the Middle East, gaining access to nuclear weapons. These sanctions are intended to provoke Tehran’s change of course not only on the nuclear agenda, but also on a missile program and, in general, on its strategy of influence in the Middle East.