
La storia del concedere le indulgenze non è priva di ombre e situazioni poco edificanti. La Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, continua, nonostante le critiche del passato, a precisarne la dottrina, a purificarne la pratica e a invitare i fedeli ad accostarsi a questa realtà della «multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4,10). Molti cattolici, infatti, rispondono a questo appello, soprattutto nei primi giorni del mese di novembre, visitando i cimiteri e pregando per i defunti. Ci sono poi periodi particolari per ottenere l’indulgenza, come ad esempio gli anni giubilari, che la Chiesa istituisce e annuncia regolarmente dal 1300. Nella bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, Spes non confundit (SNC), papa Francesco esorta: «Si dia lettura di alcuni brani del presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari» (n. 6). Non mancano i diversi testi che spiegano dettagliatamente la storia e la disciplina inerente all’indulgenza. Nella nostra riflessione, vogliamo mettere in rilievo l’aspetto esistenziale delle indulgenze, in modo da incoraggiarne una pratica pia e intelligente.
L’essenza dell’indulgenza
Il Codice di diritto canonico (CIC), seguendo la Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina (1967) di san Paolo VI, definisce l’indulgenza in questo modo: «L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista [per sé o per i defunti] per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi» (can. 992). Questa affermazione potrebbe allarmare qualcuno. Si parla, infatti, di una pena temporale che penderebbe sopra le nostre teste, sebbene siano stati già rimessi tutti i peccati. Le parole rivolte da Gesù ai discepoli: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23), danno luogo a un’evidente questione: se rimane una pena temporale da «pagare», dobbiamo dire che la remissione non è completa? Nel sacramento della penitenza – o, meglio, della riconciliazione –, Dio non cancellerebbe i peccati veramente fino in fondo? No! Dio perdona i nostri peccati in modo sacramentale e non sacramentale, senza un «però». Pertanto, se, nonostante ciò, continua a esserci un «però» o una qualsiasi obiezione, questo non viene certo da Dio, ma dalla realtà
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