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Il 4 ottobre scorso, nella festa di san Francesco d’Assisi, il Papa ha pubblicato un’esortazione apostolica consacrata alla «crisi climatica». Il documento viene intitolato con due parole latine, che sono una citazione del poverello: «Laudate Deum per tutte le sue creature»[1].
Al santo, che sembra aver avuto difficoltà a scrivere una regola di vita religiosa, piaceva cantare con parole e gesti, per poter esprimere la gioia di vivere insieme con le altre creature, sue sorelle. Da qui l’incipit, a partire dal quale dobbiamo leggere questo documento del magistero dell’attuale pontificato. La mistica di san Francesco si rivela così fondamentale per una giusta ermeneutica del testo.
In questo senso, man mano che procediamo nella lettura del documento, è importante che non perdiamo di vista la centralità di Dio, che lodiamo per le sue creature. Altrimenti, potremmo facilmente arrivare a pensare che il Papa aderisca a una qualsiasi ideologia oggi di moda, scritta da qualche gruppo ambientalista laico, che vuole sostenere la protezione della natura, a cui si oppongono gli esseri umani e il progresso delle loro società[2].
Nonostante tutto, che siano lunghi o brevi, che si trovino all’inizio o alla fine dell’esortazione, i riferimenti biblici sono fondamentali per una corretta interpretazione del documento. A partire da questi legami, è facile capire che il Papa non sta parlando come capo di una qualche Ong, ma come un vero leader spirituale, soprattutto quando getta le basi di ciò che è caratteristico di un’ecologia che voglia essere esplicitamente «cristiana».
Questa è la tesi che cercheremo di esporre nelle pagine seguenti: facendo sempre appello alla sensibilità e all’urgenza di prendersi cura dell’ambiente e della nostra «casa comune», Francesco si basa sulla Scrittura e sulla Tradizione come depositum fidei, così da mostrare la visione cristiana dell’impegno nel proteggere il creato nell’attuale contesto di crisi ambientale. E, nel farlo, il Papa si avvicina chiaramente alla prospettiva di Teilhard de Chardin (1881-1955).
A questo riguardo, è opportuno menzionare il riferimento a Teilhard che Francesco aveva fatto nella sua prima enciclica sociale, Laudato si’ (LS): egli nominava il gesuita paleontologo in una nota del n. 83, per mostrare che il «cammino dell’universo» verso la sua «maturazione universale» implica che venga superato l’atteggiamento di «dominio dispotico e irresponsabile dell’essere umano sulle altre creature» (LS 83).
Affinché la critica a questo atteggiamento sia autentica ed esplicitamente cristiana, è necessario stabilire tre princìpi fondamentali, che ritroviamo nella cura della casa comune sostenuta da papa Francesco. In primo luogo, il rispetto della natura deve basarsi sull’atto creativo di Dio, in quanto il mondo, cioè la nostra «casa comune», contiene un valore intrinseco che va rispettato nella misura in cui si tratta di un dono gratuito proveniente dall’amore divino. In secondo luogo, la sensibilità ecologica promossa dal Pontefice emerge da un «antropocentrismo situato», a cui la tradizione cristiana non potrà mai rinunciare. In terzo luogo, poiché il rispetto per la natura deriva soprattutto da una spiritualità che ci fa sentire tutti fratelli e sorelle tra noi e con le altre creature, l’attivismo civico – o addirittura politico – al quale Francesco ci spinge sarà sempre quello del dialogo, della riflessione e della cooperazione, rinunciando in ogni caso alla violenza di gesti che ci contrappongono, provocando la distruzione del tessuto sociale, e quindi della nostra casa comune.
Dio dell’universo
Nel primo paragrafo dell’esortazione apostolica il Papa spiega che, nella sua cura per la natura, Francesco d’Assisi ha accolto la sensibilità di Gesù rivelataci dai Vangeli. Infatti, le immagini di Lui che ci vengono proposte nei Vangeli esprimono certamente un uomo che è più a suo agio nella natura che in un ambiente urbano. Si tratta probabilmente di una persona vicina ai contadini, i quali sanno come crescono i «gigli del campo» e come si nutrono gli «uccelli del cielo». Inoltre, Gesù ha la vena di un poeta capace di meravigliarsi dei doni di Dio, vedendo le loro tracce nella natura. Se il Signore veste i «gigli del campo» in un modo più bello di quello con cui si vestiva Salomone nella sua regalità (cfr Mt 6,28-29), è perché la natura ha un valore in sé che va oltre la sua utilità per gli esseri umani. Se Dio non si dimentica dei «passeri» del cielo (cfr Lc 12,6), vuol dire che queste creature sono amate da Lui con il più grande amore[3].
Il fondamento evangelico vale sia per il santo d’Assisi sia per noi che abitiamo in un mondo in cui viene sempre più stimolata la sensibilità per le questioni ecologiche. In questo contesto, talvolta confuso per incertezze e pluralità di opinioni, il Papa sottolinea «le motivazioni spirituali» del suo approccio[4].
Il nocciolo della questione consiste anzitutto nell’affermazione biblica secondo cui, quando Dio ha creato il mondo, l’ha definito una «cosa molto buona» (Gen 1,31). Nella misura in cui la natura appartiene a Dio solo, suo Creatore, la Bibbia dichiara che «le terre non si potranno vendere per sempre» (Lv 25,23). Infatti, noi esseri umani siamo soltanto «forestieri e ospiti» (ivi) in questa «casa comune» che ci è stata affidata per amore[5]. Questa è la ragione per cui siamo responsabili «di fronte ad una terra che è di Dio»[6].
Il fondamento del rispetto dovuto alla natura risiede quindi in Dio come suo Creatore. Non a caso Francesco d’Assisi comincia il suo cantico con la lode di Dio. Ed è l’invito con il quale il Papa ci introduce nella questione ecologica: «Laudate Deum per tutte le sue creature». La verticalità della lode dovuta solo a Dio è indispensabile affinché la sensibilità ecologica rientri nella tradizione cristiana. In altri termini, l’orizzontalità del rispetto riguardo alle altre creature viene stimolata dalla verticalità che ci fa lodare Dio sopra tutte le cose.
Per il Papa, è evidente che con la lode che san Francesco rivolge a Dio, amato al di sopra di tutte le cose, non viene affatto diminuito l’amore per le creature. Anzi, l’amore per Dio intensifica il rispetto per la natura per due motivi fondamentali: in primo luogo, comprendiamo che, amando Dio, dobbiamo amare anche ciò che gli appartiene e ciò che egli ama, ossia la creazione da lui attuata per amore; in secondo luogo, nella misura in cui Dio le vuole, le desidera e le ama, le creature hanno un valore intrinseco che va rispettato.
Questa dinamica cruciforme descritta da papa Francesco si avvicina alla visione di Teilhard de Chardin, anche lui ispirato dalla prospettiva della scuola francescana. Va menzionata in particolare la dinamica dell’amore divino che collega l’atto della creazione con quello dell’incarnazione e della redenzione. Possiamo comprenderlo dall’affermazione del Papa – con un esplicito riferimento al gesuita scienziato – secondo cui «dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio» (LS 84).
In questo paragrafo della Laudato si’ il Pontefice abbraccia senza dubbio la visione teilhardiana: si tratta di contemplare, con un cuore mistico, un universo in costante «cammino» verso una «pienezza» che si realizza soltanto in Dio, che trascende l’universo[7]. Questo universo non si riduce a una pura natura, a una pura materia chiusa allo spirito. Infatti, essendo stato creato e amato da Dio fin dall’inizio, esso non può essere ridotto all’ordine puramente «naturale»[8]. Questa è la visione teilhardiana – capace di contemplare l’evoluzione dell’universo come una «cristogenesi» –, che consiste nella comunione tra l’universo intero e il suo Omega attraverso la mediazione dell’essere umano[9].
Gli esseri umani sono quindi chiamati a partecipare attivamente a tale dinamismo, agendo come custodi della creazione e conducendo tutte le cose verso la loro realizzazione finale. Inoltre, non è possibile conferire al mondo un valore maggiore di quello che gli viene conferito dalla visione cristiana. Sembra che non sia possibile fondare in un modo migliore il rispetto che dobbiamo avere per il creato, giacché nulla o nessuno può attribuire un valore superiore alla creazione rispetto a Dio stesso. La dinamica delle creature, che provengono dall’amore di Dio e si muovono verso di Lui con la loro lode, sembra così costituire il fondamento più completo di tutta la cura che dobbiamo avere per l’ecologia. Solo in una natura aperta a tale dinamica, invece che ripiegata su sé stessa, possiamo veramente apprezzare la sua bellezza, riconoscere il suo valore intrinseco e comprendere appieno la responsabilità che abbiamo nei confronti di tutte le creature che condividono questo mondo con noi.
A tale riguardo, dobbiamo notare come Francesco condanni il «paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale» (LD 20). Il primo problema che è alla base di questo paradigma perverso non riguarda immediatamente la distruzione della natura che gli è connessa: si tratta anzitutto di una prospettiva che fa assumere all’essere umano il ruolo del creatore stesso.
Non a caso, il Papa inizia la Laudate Deum nello stesso modo in cui la conclude: evocando la lode dovuta a Dio. Se ha scelto l’espressione «Lodate Dio» come titolo per la sua esortazione, Francesco l’ha fatto precisamente «perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (LD 73). Questa critica si basa sull’idea che l’approccio tecnocratico, con la sua enfasi sulla dominazione e sul controllo totale della natura, implica una superbia umana che vuole sostituirsi al divino. Man mano che l’essere umano assolutizza sempre più le proprie facoltà cognitive, così da ritenersi capace di conoscere, prevedere e trasformare il mondo a suo piacimento, il suo essere personale viene oscurato nelle sue relazioni e nel disincanto riguardo alla contemplazione del mondo. Nel determinismo dello scientismo tecnocrate il soggetto umano perde la capacità di guardare con stupore le bellezze intrinseche del creato.
La meraviglia della creazione è potenziata dalla prospettiva cristiana, secondo la quale il mondo è un dono gratuito di Dio. Ponendo Dio come fondamento, non solo è possibile fondare razionalmente il valore intrinseco della natura che dobbiamo rispettare, ma è anche possibile favorire un’esperienza simile a quella vissuta da san Francesco d’Assisi e a quella descritta nei Vangeli da Gesù. Questo vissuto mistico ci spinge ad abitare questa Terra con gratitudine e rispetto verso le creature con le quali condividiamo una «casa comune». Così la consapevolezza di questo dono gratuito da parte di Dio ci induce ad agire come custodi della creazione, piuttosto che a cercare di manipolarla o sfruttarla illimitatamente.
Il ruolo dell’essere umano nella natura
Comprendiamo dunque che l’amore verso Dio non ostacola, ma anzi stimola la pratica dell’amore verso le creature. La legge evangelica dell’amore nelle sue tre dimensioni – Dio, il prossimo e sé stesso (cfr Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,26-28) – deve essere estesa alle nostre relazioni orizzontali con le creature.
Da un lato, amare il prossimo costituisce un atto che si estende naturalmente alle creature. Nella misura in cui noi siamo un elemento del corpo organico dell’universo, accanto agli altri esseri della Terra, questi vengono considerati come nostri fratelli. Come afferma il Papa, in sintonia con il Vangelo e con la mistica francescana, «tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (LS 92). È dunque evidente che questa mistica assume un profondo rispetto per la vita in tutte le sue forme, promuovendo il benessere degli animali, la tutela degli ecosistemi e l’equità nella distribuzione delle risorse.
Dall’altro lato, per quanto riguarda l’odierna sensibilità ecologica, tenendo conto dell’urgenza che la crisi climatica ci impone, possiamo approfondire l’amore verso noi stessi in stretto collegamento con la cura della «casa comune», la cui preservazione costituisce una condizione di possibilità della nostra vita. È a partire da questo approfondimento della legge evangelica dell’amore che il Papa fa appello a una gestione sostenibile delle risorse, alla riduzione dell’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. In altre parole, amare sé stessi come esseri umani implica oggi prendersi cura delle generazioni a venire, in modo che esse possano sviluppare la loro vita in un ambiente sano e prospero.
Qui si manifesta il ruolo centrale che l’essere umano assume nel «cammino» dell’universo verso la sua «pienezza» in Dio. Perciò il Papa esplicita chiaramente l’«antropocentrismo» della sua prospettiva, fedele alla tradizione giudaico-cristiana, per cui l’essere umano ha un «valore peculiare e centrale […] in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri». Si tratta, certo, di un «antropocentrismo situato», nella misura in cui la «vita umana» non si concepisce né sussiste «senza le altre creature» (LD 67).
Questo tipo di antropocentrismo è agli antipodi dell’antropocentrismo promosso dal paradigma tecnocratico, in cui l’essere umano considera sé stesso proprietario del mondo, libero di trasformarlo a proprio piacimento e attraverso la sua conoscenza tecnico-scientifica. Secondo il Papa, infatti, indipendentemente dal fatto che siamo o non siamo sicuri della causa antropica del cambiamento climatico, è evidente che l’intervento umano sulla natura sta distruggendo il Pianeta e la vita, compresa la nostra[10].
In questa prospettiva, notiamo come l’antropocentrismo di Francesco si avvicini alla visione di Teilhard de Chardin. Mentre il gesuita francese vede l’essere umano come «freccia dell’universo», il Papa ritiene che l’ecologia non debba essere concepita senza «un’adeguata antropologia» (LS 118). Mentre Teilhard vede la persona umana come il risultato dell’evoluzione dell’intero universo, Francesco afferma l’antropocentrismo come segno del conferimento all’uomo della responsabilità di custodire il mondo, l’ambiente.
Teilhard cerca di mostrare l’evoluzione dell’universo come un cammino basato su due princìpi essenziali. Da un lato, egli identifica in ogni cambiamento di stirpe dell’Albero della Vita l’associazione, ossia la socializzazione di individui diversi. Infatti, a partire dall’agglomerazione di atomi diversi che occupano lo stesso spazio emerge la cellula. E dalla confluenza di cellule hanno origine nuove forme di vita. Allo stesso modo, anche l’unione tra diversi viventi ci conduce a salti di stirpi nell’Albero della Vita[11]. Dall’altro lato, Teilhard sottolinea il fatto che l’evoluzione si è orientata fino a noi verso una crescente complessificazione della coscienza, ossia dell’essere personale dell’individuo. Così ci fa capire che l’evoluzione non realizza una fusione fra tutti gli elementi dell’universo, nella misura in cui l’unione fra gli individui dà origine a una progressiva distinzione fra loro, sottolineando la singolarità o personalità[12].
Proseguendo questa descrizione, Teilhard sostiene che il senso dell’evoluzione, cioè la sua piena intelligibilità, dipende da noi: attraverso la nostra libertà noi esseri umani possiamo continuare a mettere in pratica questi due princìpi, portandoli al loro apice. È la fase della noosfera, in cui ci troviamo[13]. Nel farlo, potremo vedere come l’amore cristiano, che abbraccia tutti i popoli e tutte le creature, rispettando la singolarità di ciascuna persona, rappresenti il vertice di tale evoluzione, integrando spiritualità e scienza in una visione olistica del mondo[14]. Non è difficile capire allora la necessità, per Teilhard, di assumere la trascendenza del punto Omega, con cui l’Universo, distinto, si unisce per amore, per attrazione, senza confondersi con Lui[15].
Podcast | SIRIA. «LA SITUAZIONE ECONOMICA È CATASTROFICA»
Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.
Ebbene, la «speranza» che Francesco esprime nella possibilità di un futuro che possiamo costruire insieme va di pari passo con questa visione teilhardiana. Infatti, entrambi assumono un tipo di antropocentrismo che non è «moderno», né «deviato», né «dispotico», nella misura in cui implica l’affermazione dell’uomo guidato da un’etica che rinuncia all’«individualismo», rispettando e valutando la natura nello sviluppo di una vita in cui vengono integrati tutti gli elementi dell’universo[16].
Qui possiamo vedere un argomento a favore dell’antropocentrismo, che viene espresso in modo molto semplice: nel mondo in cui abitiamo solo l’essere umano possiede la libertà per amare la natura o per distruggerla. Sta a noi scegliere il nostro modo di vita: soltanto le nostre società possono fare tale scelta, e il destino del mondo dipende da questa opzione fondamentale che gli esseri umani devono fare. È in questo senso che la persona umana occupa il centro della natura.
In ogni caso, sia l’antropocentrismo cristiano di Teilhard, sia l’«antropocentrismo situato» di Francesco rifiutano l’antropocentrismo del paradigma tecno-scientista secondo cui la natura appartiene all’uomo, che può fare tutto quello che vuole con le sue possibilità di trasformazione. Non basta affermare che l’essere umano occupa un posto centrale nell’universo, ma occorre collocare tale prospettiva antropocentrica in un orizzonte che ci spinge a valorizzare e rispettare tutte le creature dell’universo che sono state create da Dio e che quindi non ci appartengono. È a partire da questa prospettiva profondamente cristiana, basata sulla Bibbia, che il Papa invoca una trasformazione più sobria del nostro stile di vita[17], al fine di preservare la nostra «casa comune». È ovvio che questo appello assuma particolare rilevanza nel contesto delle attuali alterazioni climatiche, che vengono riconosciute dalla maggioranza degli scienziati[18].
Tuttavia, questa trasformazione verso uno stile di vita più sobrio è determinata soprattutto da «motivazioni spirituali», che ci spingono a mettere da parte l’«ideologia» dello scientismo moderno. Si tratta di «ripensare il nostro uso del potere» che ci viene conferito dalla tecnologia. Senza trascurare l’importanza della conoscenza scientifica e il progresso che essa ci permette, non possiamo ritenere che non esistano limiti alla tecnologia e che la natura sia una proprietà umana. Al contrario, è possibile e desiderabile vivere in armonia con il mondo e con gli elementi in esso contenuti, compresi noi stessi[19]. Comprendiamo così come l’antropocentrismo di papa Francesco cerchi di evitare un’eccessiva separazione fra l’essere umano e la natura.
In questo contesto, dobbiamo ancora notare come il magistero del Papa si distacchi da tutte le ideologie che oggi ci investono. Infatti, sia il paradigma tecnocratico dello scientismo moderno sia alcuni movimenti ecologisti radicali contemporanei tendono, a partire da una visione manichea, a staccare l’essere umano dalla natura. Nel primo caso, la natura viene considerata come qualcosa da plasmare a piacimento dell’essere umano individualista, egoista, con scarsa considerazione per le conseguenze a lungo termine. Nel secondo caso, pur con buone intenzioni sotto molti aspetti, questi movimenti ecologisti talvolta adottano una visione che considera il progresso della vita umana come intrinsecamente dannoso per la natura: è come se dovessimo scegliere fra l’umanità e la natura. Entrambe le prospettive, separando eccessivamente l’essere umano dal resto della creazione, ostacolano lo sviluppo armonioso di una vita umana rispettosa e in equilibrio con l’ambiente.
A questo riguardo, ricordiamo ciò che afferma il Papa, dopo aver appena citato la sua enciclica sociale Laudato si’: «[Se] il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro», allora dobbiamo escludere «l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente». Al contrario, l’essere umano «dev’essere considerato come parte della natura. La vita, l’intelligenza e la libertà dell’uomo sono inserite nella natura che arricchisce il nostro pianeta e fanno parte delle sue forze interne e del suo equilibrio» (LD 26).
È quindi essenziale cercare un approccio più equilibrato e integrale, che riconosca l’interconnessione tra l’umano e la natura, al fine di raggiungere una convivenza sostenibile. È questa la spiritualità cristiana che il Papa, sulla scia di Teilhard de Chardin e di san Francesco, cerca di promuovere nel contesto attuale.
La fraternità estesa a tutte le creature
Le «motivazioni spirituali» di papa Francesco portano il suo magistero al di là di tutte le ideologie. A questo riguardo, si devono tenere presenti le radici bibliche delle sue affermazioni. Più precisamente, nella Laudate Deum il Pontefice sembra allontanarsi, da un lato, dai fondamentalismi apocalittici che riducono la crisi attuale a una mera questione ecologica e, dall’altro, dai negazionisti irresponsabili che non vogliono cambiare nulla nelle nostre società attuali. Mentre i primi tendono a incolpare «i poveri di avere troppi figli e cercano di risolvere il problema mutilando le donne dei Paesi meno sviluppati» (LD 9), i secondi «citano dati presumibilmente scientifici», perché non vogliono accettare la causa antropica del rapido cambiamento climatico[20]. Questa irrazionalità, che disprezza le conclusioni della maggioranza degli scienziati, si manifesta anche negli ecologisti radicali che tendono a dipingere uno scenario catastrofico, proponendo misure irrealistiche, basate su «diagnosi apocalittiche […] irragionevoli o non sufficientemente fondate» (LD 17).
L’approccio equilibrato del Papa non ci porta né a ignorare la possibilità di raggiungere un punto irreversibile, né a limitare la questione a un’ideologia puramente ecologista. Se oggi siamo di fronte a un’urgenza climatica, il problema non è soltanto ecologico. Pertanto, non si dovrebbero cercare soluzioni incapaci di integrare le problematiche umane e sociali in gioco. Se nel magistero del Papa si può scorgere un’azione cosiddetta «politica», questa consiste in un tentativo di superare le ideologie che oggi minacciano le nostre società. Infatti, Francesco cerca di evitare la divisione del nostro tessuto sociale in poli contrapposti, che interagiscono attraverso parole e gesti violenti. È importante infatti considerare che la crisi che caratterizza il nostro contesto politico è legata alla crescente polarizzazione e radicalizzazione delle sfere politiche, oltre che alle crisi climatica, ambientale, sociale ed economica.
Quindi, sia la Laudato si’ sia la Laudate Deum devono essere lette a partire dalla prospettiva di un Papa che vuole prendere le distanze dalle ideologie politiche che si manifestano nel nostro tessuto sociale. In questi documenti egli promuove un attivismo civico cristiano, sempre basato sul dialogo e sulla cooperazione tra persone di ambienti sociali e religiosi diversi. Egli considera, in modo simile a Teilhard, ciò che il contesto attuale rende manifesto. Dalla crisi della pandemia del 2019 alla sfida del cambiamento climatico odierno, il Papa riconosce in modo indubitabile che «“tutto è collegato” e “nessuno si salva da solo”» (LD 19). In evidente correlazione con ciò che ha scritto nell’enciclica Fratelli tutti[21], Francesco non soltanto afferma l’interconnessione tra tutti gli elementi della Terra, nella misura in cui Dio ci ha uniti indissolubilmente a tutte le creature, ma insiste anche sulle conseguenze di tale principio: il fatto che tutto è collegato influisce sul modo in cui noi agiamo. Se adottiamo questo principio olistico che regola la vera ecologia integrale, non potremo agire in un modo violento che ci separa gli uni dagli altri. Invece che a una dinamica di gesti violenti e imponderati, possiamo portare i dati che ci vengono offerti dalla comunità scientifica a una dinamica di convergenza in cui si dialoga e si coopera per il bene comune. Soltanto così sarà possibile edificare l’unità e l’amore che danno senso al mondo in evoluzione.
Ma vediamo ancora un altro aspetto in cui il Papa si avvicina a Teilhard. Mentre Dio, secondo il gesuita paleontologo, creat uniendo, il Papa cerca di promuovere la fraternità tra persone di tutte le nazioni e le religioni. Henri de Lubac ha parlato della visione di Teilhard come di una «metafisica dell’unione»[22]. Il teologo francese, che ha tanto difeso Teilhard all’interno della Chiesa e che ha influenzato significativamente la formazione intellettuale di Jorge Bergoglio, ci mostra, a partire dall’opera del suo compagno gesuita, una visione specifica dello sviluppo dell’umanità favorita dal cristianesimo: più che svolgersi attraverso il confronto tra affermazioni e negazioni di tesi che si scontrano violentemente, il progresso consiste nel movimento di convergenza verso la comunione possibile, che ci permette di avanzare nella risoluzione dei problemi concreti che oggi dobbiamo affrontare, facendoci preservare allo stesso tempo la singolarità di ogni persona.
E papa Francesco, nella misura in cui riconosce la gravità della situazione, evitando al contempo l’esagerazione delle ideologie apocalittiche, dimostra di essere equilibrato nelle sue posizioni. Accogliendo i contributi che vengono dalla comunità scientifica, si mostra disponibile a collaborare con tutte le persone di buona volontà, per sviluppare una tecnologia sempre più autentica e promuovere una transizione energetica ponderata.
Conclusione
Nel suo recente viaggio in Mongolia, il Papa ha fatto un riferimento a Teilhard. In prossimità della Cina, dove il gesuita paleontologo è vissuto, e trovandosi vicino al luogo in cui Teilhard aveva composto la celebre Messa sul mondo, ha ricordato la dimensione cosmica dell’Eucaristia. In un contesto che gli rendeva impossibile celebrare la Messa con le specie del pane e del vino, Teilhard compose la famosa preghiera in cui si offre l’intera creazione al suo Creatore, sempre presente nella sua opera d’amore[23].
In questo articolo abbiamo cercato di mostrare un collegamento tra papa Francesco e Teilhard nella riflessione del Pontefice sull’odierna crisi climatica. Sulla scia di Teilhard, Francesco abbraccia una visione ecologica radicata nell’orizzonte biblico giudaico-cristiano. Si tratta di un’ecologia che scaturisce da una spiritualità chiaramente francescana; una mistica che ci invita a sentirci pienamente integrati in un mondo non nostro, ma creato da Dio. Alla luce dell’urgenza ambientale che stiamo affrontando, questa mistica ci spinge a cooperare e a dialogare gli uni con gli altri, per preservare la «casa comune» che ci è stata affidata. L’appello del Papa a uno stile di vita più sobrio nell’uso e nella produzione dei beni materiali incarna questa spiritualità nel contesto attuale.
Possiamo concludere ricorrendo alla Bibbia, che esprime la lode del Creatore con le parole del profeta Daniele (cfr Dn 3,52-88). Il suo canto risuona nei nostri cuori, richiamandoci all’azione di una Chiesa in cammino. Ogni volta che proclamiamo: «Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli! […] Benedite, sole e luna, il Signore…» (Dn 3,57-62), siamo in comunione con le altre creature. Ogni volta che invochiamo le «stelle del cielo», «mari e fiumi», «monti e colline», gli «uccelli» e tutto «quanto si muove nell’acqua» per la lode di Dio, le nostre voci si levano come un elemento della sinfonia cosmica. Profondamente uniti alle altre creature, ci sentiamo integrati nell’armonia dell’opera del Creatore. Si tratta della fraternità cosmica, che san Francesco viveva attraverso la sua mistica e che Teilhard vedeva nell’evoluzione dell’universo. Si tratta, in definitiva, della meraviglia del creato, della bellezza della Terra che ci accoglie. A partire da questa mistica, siamo invitati a collaborare con l’opera di Dio. Nel farlo, potremo estendere la Chiesa al di là di una comunità soltanto umana e chiusa in sé stessa. Il cantico di Daniele estende il popolo di Dio in cammino a tutte le creature.
L’ecologia promossa dal magistero del Papa si basa su questa spiritualità biblica. Invece di gettarci in un abisso di catastrofismo ideologico, ci spinge a credere che con la nostra azione responsabile possiamo contribuire al ripristino e alla preservazione della casa comune. In comunione con tutta la creazione, continuiamo il viaggio di cura e di rispetto per la Terra, mossi dalla speranza che un futuro migliore è possibile. La lode del Signore non ci chiude nel pessimismo di fronte alla crisi, ma ci spinge a credere nella novità che germinerà dalla nostra collaborazione con l’operare di Dio.
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[1]. Francesco, Laudate Deum (LD), n. 1.
[2]. A questo riguardo, occorre ricordare ciò che papa Francesco disse al rabbino Abraham Skorka, stabilendo una netta differenza tra un leader di una Ong e un leader di una Comunità o Chiesa. La parola chiave per comprendere la diversità tra loro e tra i piani è «santità», che si apre alla dimensione «trascendente»: cfr J. M. Bergoglio – A. Skorka, On Heaven and Earth. Pope Francis on Faith, Family, and the Church in the 21st Century, London, Bloomsbury, 2013, 38 s.
[3]. Cfr LD 1.
[4]. Cfr LD 61-73.
[5]. Cfr LD 62.
[6]. Ivi, dove si cita l’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti (FT), n. 68.
[7]. Cfr LS 83.
[8]. Cfr LS 100; LD 65.
[9]. Cfr P. Teilhard de Chardin, La mia fede, Brescia, Queriniana, 1993, 173.
[10]. Cfr LD 14.
[11]. Cfr P. Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, Brescia, Queriniana, 1995, 75.
[12]. Cfr ivi, 161 s.
[13]. Per questo la comparsa degli esseri umani nell’universo costituisce una «rivoluzione» nell’evoluzione e nel suo destino: cfr Id., Il posto dell’uomo nella natura. Il gruppo zoologico umano, Milano, Il Saggiatore, 1970, 46 s.
[14]. Cfr Id., Il fenomeno umano, cit., 275.
[15]. Cfr ivi, 249; Id., Il posto dell’uomo nella natura…, cit., 21-23.
[16]. Cfr LS 68; 118; 119; 208.
[17]. Cfr LS 222.
[18]. Cfr LD 13.
[19]. Cfr LD 21-25.
[20]. Cfr LD 6.
[21]. Cfr FT 34; 54.
[22]. Cfr H. de Lubac, Il pensiero religioso del padre Teilhard de Chardin, Milano, Jaca Book, 1983, 274 s.
[23]. Cfr A. Spadaro, «“Abitare la casa terrena abbracciando il cielo”. Il viaggio apostolico di Francesco in Mongolia», in Civ. Catt. 2023 III 517-530.