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Quale visione della politica ha maturato ed esprime Papa Francesco? La complessità del tema può essere affrontata riflettendo su due discorsi che il Papa ha rivolto a due gruppi di persone molto diverse. Discorsi che hanno suscitato molto interesse e hanno avuto interpretazioni diverse: quello al Congresso degli Stati Uniti1 e il secondo discorso ai Movimenti popolari2, in Bolivia.
Commentatori e giornalisti, leggendo i testi o ascoltando le parole del Papa, sia nel Centro Expo Feria de Santa Cruz de la Sierra sia al Congresso a Washington, si sono posti diverse domande: il primo discorso è stato forse un messaggio controcorrente, con dei passi avanti nell’impegno della Chiesa nella giustizia sociale con i popoli più poveri, e il secondo, invece, un discorso politicamente corretto? Il primo discorso deve forse essere considerato come un manifesto a tinte apocalittiche e utopiche, rivolto all’emotività più che alla ragione, e il secondo, invece, un discorso più intellettuale, particolarmente attento a non commettere errori? Il primo un discorso la cui cifra qualificante è il populismo, e il secondo il discorso di un politico pragmatico? Oppure — come noi crediamo — entrambi i discorsi si possono considerare «fatti catechetici», con i quali il Santo Padre ha infiammato il cuore di quanti lavorano per il bene comune — sia in una cooperativa sia nel Congresso —, illuminandoli con la dottrina sociale della Chiesa, predicata con coraggio, intelligenza e passione?
Di fronte alle varie possibilità di interpretazione — che sono già un segno del fatto che i discorsi del Papa hanno un di più di significato, che non va catalogato troppo in fretta —, occorre rileggere le sue parole inserendole nel loro contesto. Ciò implica, fra l’altro, che si tengano presenti la dottrina sociale della Chiesa e il discernimento di Francesco riguardo alla necessità di riabilitare la politica non soltanto nella teoria — mostrandone la positività, in quanto essa è «una delle forme più alte della carità» —, ma anche nella pratica, intavolando un dialogo profondo e impegnato con tutte le persone e i gruppi che operano in essa, con quanti lavorano per il bene comune.
Il discernimento di Francesco: riabilitare la politica
Il discernimento di Francesco riguardo alla politica mette in evidenza il fatto che «tutti» dobbiamo «riabilitarla». «La responsabilità sociale — dice il Papa — […] richiede un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica. Siamo responsabili della formazione di nuove generazioni, di aiutarle a essere capaci nell’economia e nella politica, e ferme sui valori etici. Il futuro esige oggi l’opera di riabilitare la politica […], che è una delle forme più alte della carità»3.
Riabilitare una realtà vuol dire riconoscere che essa è valida, ma che, per qualche motivo, ha perduto il suo valore intrinseco. Pertanto noi ora ci domandiamo: che cosa significa che la politica è una delle forme più alte della carità? Qual è la storia di questa definizione così positiva? E perché è così forte la denuncia profetica contro il dio denaro? E dal momento che la politica è l’arte del possibile e si attua grazie all’azione congiunta di tutti, quali sono gli interlocutori preferiti del Papa? Quale linguaggio egli usa per dialogare con loro? Quali compiti e quali sfide egli li aiuta a discernere?
Una delle forme più alte della carità
Il fatto di definire la politica come «una delle forme più alte della carità» costituisce già una sua riabilitazione a livello teorico. Per ritrovare un linguaggio che restituisca dignità alla politica in modo semplice, senza dover ricorrere all’argomento che le cose divine sono trascendenti, o senza dover ricordare il pericolo di usarla per scopi egoistici, dobbiamo far riferimento a san Tommaso.
Nel trattato De caritate, egli parla dell’«amore sociale». Con questa espressione vuole significare che l’amore, che viene concesso soprattutto ai parenti e agli amici più cari, deve essere offerto anche a un estraneo, quando da lui «dipende il bene comune». Nella città questa dilectio socialis è dovuta «al principe della città, in quanto da lui dipende la salute di tutta la comunità; per questo egli deve essere amato più del proprio padre»4.
Nel commento all’Etica di Aristotele, san Tommaso attribuisce alla politica lo statuto di «massima scienza architettonica»5. Con questa espressione egli vuole indicare che la politica prescrive alle altre scienze ciò che devono fare. Essa considera e promuove il fine (bene comune), armonizza l’ordine tra le parti (la legge) e rimuove gli impedimenti (i nemici).
Nell’arte, ciò che polarizza tutti gli sforzi dell’artista è la realizzazione materiale della sua opera. Nel campo della politica, che è l’arte del possibile, la realizzazione è una sempre rinnovata mediazione tra il bene particolare e il bene comune. Il bene comune, che è il fine della politica, deve essere ricercato continuamente.
Diversamente da Agostino, il quale sostiene che senza il peccato originale non ci sarebbe stata la necessità di obbedire a un’autorità, san Tommaso ritiene che, «dato che l’uomo è naturalmente un animale sociale, gli uomini in stato di innocenza sarebbero vissuti socialmente e pertanto con un’autorità (cfr Sum. Theol., I, q. 96, a. 4)»6. Come si vede, quando si afferma la positività della politica, nella Chiesa si possono incontrare opinioni differenti.
Così notiamo, da una parte, che Papa Francesco non fa altro che predicare la dottrina sociale della Chiesa, come ricorda sempre quando viene interrogato su qualche sua affermazione che risulta innovativa. Infatti, già Pio XI aveva detto, con termini simili a quelli di Papa Francesco, che «il campo della politica [il bene comune] è il campo della più vasta carità»7. D’altra parte, è evidente che l’affermazione di Papa Francesco sulla positività e dignità della politica ha ripreso, attirandole come una potente calamita, tutte le riflessioni positive dei Pontefici precedenti, senza trascurare i pericoli da loro avvertiti, ma subordinandoli al bene più grande di una chiara riabilitazione della politica.
Un po’ di storia
Per comprendere questa affermazione del Papa, è utile considerarne la storia, che si è sviluppata nell’arco di trent’anni. Già da arcivescovo, Bergoglio aveva sostenuto questa riabilitazione della politica, sebbene non fosse stato ben compreso dai governi di quel tempo. In occasione dell’Incontro di pastorale sociale del 2005, nel suo discorso La nación por construir, egli aveva detto: «L’ attività politica è una forma elevata di carità, di amore, e pertanto un problema teologico ed etico. A livello globale si pone un paradosso: il discredito della politica e dei politici nel momento in cui ne abbiamo più bisogno. Essi sono il capro espiatorio della società. Scarichiamo su di essi, sui nostri politici, le nostre carenze. Per questo è importante riabilitare la politica e la politica nella sua totale ampiezza»8.
In quell’occasione Bergoglio ha citato la Dichiarazione della Commissione sociale dell’episcopato francese «Riabilitare la politica» (17 febbraio 1999)9, un documento a cui egli ha dato grande importanza. In esso i vescovi francesi affermavano che «una società che sottovaluta [la politica] si colloca in una situazione di pericolo. È urgente una sua riabilitazione e un ripensamento in tutti i campi (educazione, famiglia, economia, ecologia, cultura, sanità, protezione sociale, giustizia…) di un rapporto attivo tra la politica e la vita quotidiana dei cittadini» (n. 7). Il documento dei vescovi era in sintonia con le riflessioni che Bergoglio andava facendo da più di dieci anni.
In occasione della lezione inaugurale dell’Anno accademico 1989 nelle Facoltà di Filosofia e Teologia dell’Universidad del Salvador a San Miguel (Buenos Aires), Bergoglio tenne una relazione intitolata «Necesidad de una antropología política: un problema pastoral»10. In essa sostenne la necessità di «gerarchizzare la politica», mostrando la differenza tra «essere politicizzati» e «avere una vera cultura politica» (n. 5). «Recuperare la validità della politica — egli disse — è recuperare l’orizzonte di sintesi e di unità di una comunità: orizzonte di un’armonizzazione di interessi, di organizzazione della razionalità politica per dirimere conflitti; orizzonte strategico di accordo sull’essenziale, di convinzione che la nostra identità e sicurezza personale familiare e settoriale è fragile e imprevedibile senza la cornice superiore della politica» (n. 5).
Bergoglio ha sempre considerato la politica «espressione simbolica della vita in comune» (n. 6), e il discernimento della necessità di «gerarchizzare la politica» è dovuto alla confusione a cui noi siamo sottoposti, in quanto popolo e in quanto cristiani, a causa della «frattura di visioni».
Nell’ordine semantico, questa frattura si ha «quando vengono chiamate “politica” situazioni “di compromesso”, “violente”, “ingiuste” o “conflittuali”». Nell’ordine empirico, la frattura si ha «quando la politica viene identificata con la pratica settaria». Nell’ordine teorico, la frattura si ha «quando l’ordine politico abdica a favore dello spazio economico» (n. 2).
Questa visione della politica come espressione simbolica dell’unità di un popolo è la base antropologica che occorre tener presente per inculturare l’annuncio del Vangelo nella politica, ossia nella struttura più alta, e architettonica per definizione, della società. È in questo campo specifico che deve essere seminato il seme del Vangelo.
Un passo avanti nella visione positiva della dottrina sociale della Chiesa
Poiché Papa Francesco ha attribuito a Paolo VI l’espressione «la politica è una delle forme più alte della carità», di solito si dà per scontato che Paolo VI l’abbia formulata così. Ma, almeno dalle fonti che abbiamo potuto consultare, risulta che Paolo VI esprime certamente questo concetto, ma non con le stesse parole, né nello stesso contesto.
Il testo fondamentale a questo riguardo è quello della Gaudium et spes (GS), che definisce la politica «difficile ma insieme nobilissima» (GS 75), e nella nota 8 cita la famosa frase di Pio XI che abbiamo ricordato. Nella Octogesima adveniens (OA), Paolo VI usa soltanto il termine «esigente»: «La politica è una maniera esigente — ma non è la sola — di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (n. 46).
In quella Lettera apostolica, Paolo VI affronta magistralmente il tema della politica e lo approfondisce. Il tono che egli usa è quello dell’ammonimento: è necessario guardarsi dalle «confusioni» che possono essere suscitate dal termine «politica»; è necessario mostrarne i limiti, affinché la politica rispetti le persone, le famiglie e i gruppi sussidiari; ed è necessario ricordare alla politica i suoi doveri: essa «deve avere per scopo la realizzazione del bene comune» (OA 46).
Assieme a questi «pericoli», Paolo VI esprime una visione positiva: «Ciascuno sente che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che internazionale, l’ultima decisionespetta al potere politico» (ivi); la politica «è il vincolo naturale e necessario per assicurare la coesione del corpo sociale» (ivi). Infine, egli fa l’affermazione più importante, quella che mette in guardia dal potere dominante: «Per creare un contrappeso all’invadenza della tecnocrazia, occorre inventare forme di moderna democrazia non soltanto dando a ciascun uomo la possibilità di essere informato e di esprimersi, ma impegnandolo in una responsabilità comune [politica]» (OA 47; corsivi nostri). Paolo VI indica qui le due forze contrapposte fra le quali s’ingaggia la battaglia fondamentale: il potere della tecnica e quelle «forme di democrazia da inventare», che vengono giudicate necessarie.
Papa Francesco constata, con Paolo VI, che il vero pericolo per la democrazia è il potere tecnocratico, ed è per questo che egli vuole riabilitare decisamente la politica. Egli afferma nell’enciclica Laudato si’ (LS): «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale» (LS 109). Perciò ci si deve rendere conto della necessità di riabilitare il potere dei popoli — il potere democratico — come l’unico ambito capace di porre un limite umano al potere, in sé illimitato, della tecnica, verso il quale si è rivolto il dio denaro, trovando in esso lo spazio conveniente.
In definitiva, la visione così positiva della politica di Papa Francesco corrisponde a quella del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, che, raccogliendo le affermazioni dei vari Pontefici e dei documenti della Chiesa, fa queste significative affermazioni: «L’ amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali […]. Questo amore può essere chiamato “carità sociale”11 o “carità politica” e deve essere esteso all’intero genere umano»12. Parlare di «carità politica» dà valore a un lavoro per il bene comune che di solito viene poco apprezzato, perché nella politica non si riconosce sempre quello che fanno gli altri.
Il denaro: al servizio della politica o elemento di potere con la tecnica
Una forte contrapposizione con la carità politica viene suggerita dall’espressione «lo sterco del diavolo», con cui è definito il denaro. Oggi molte persone, anche buoni cristiani, si sentono in dovere di difendere il denaro, basandosi su questo semplice ragionamento: «Senza quel tipo di misura del successo o del fallimento che di solito viene chiamato “denaro”, nessun sistema può funzionare»13. Di solito si trascura il fatto che il denaro, di per sé, tende a essere illimitato. A limitarlo può essere solo il bene comune di ogni nazione o gruppo di nazioni che prendono decisioni politiche rispetto al suo valore.
P. Raniero Cantalamessa, nella predica del Venerdì santo del 2014, ha definito il denaro «il dio quantificabile». Il suo potere e il suo fascino consistono nella sua capacità di essere condiviso in modo quantificabile da tutti i suoi servitori e nella sua capacità di ricapitolare (quasi) tutto ciò che esiste («ogni cosa ha il suo prezzo», si dice). Questa infinità quantitativa si presta a essere deificata; cosa che non accade, invece, con la politica, dato che il bene comune, che è il fine costitutivo della politica, è sempre concreto, e pertanto limitato.
La politica è più umana, potremmo dire: la si può mettere in discussione, richiede un consenso che va sempre ottenuto. Il denaro invece no: è immortale, non si perde, cambia soltanto padrone (o schiavo). E quando esso è associato alla tecnica — anch’essa dotata di un’infinità quantitativa — trova un campo illimitato in cui moltiplicare il suo potere.
Gli interlocutori preferiti
Nel volo di ritorno dal viaggio in America Latina, un giornalista ha domandato a Papa Francesco perché egli «punti molto sui Movimenti popolari e meno sul mondo dell’impresa». Il Papa gli ha risposto: «Tutto quello che ho detto [ai Movimenti popolari] è dottrina sociale della Chiesa, e quando devo parlare al mondo dell’impresa dico lo stesso, cioè che cosa dice del mondo dell’impresa la dottrina sociale della Chiesa»14.
Nella sua lettera in occasione del meeting di Davos-Klosters (Svizzera), Papa Francesco ha lodato la creatività degli imprenditori e il loro desiderio di «fare la differenza»; ha denunciato il potere del denaro al di sopra della politica; e ha parlato agli imprenditori di come il senso della trascendenza possa motivare anche l’economia15.
Sta di fatto che la risposta della gente semplice, come quella dei Movimenti popolari, alle sollecitazioni del Papa è certamente più positiva di quella di molti studiosi. Mentre questi ultimi prendono una certa distanza critica, i membri dei Movimenti, pur con tutte le loro differenze ideologiche, appoggiano più decisamente le proposte del Papa, il quale dice: «Ho conosciuto da vicino diverse esperienze in cui i lavoratori riuniti in cooperative e in altre forme di organizzazione comunitaria sono riusciti a creare un lavoro dove c’erano solo scarti dell’economia idolatrica»16.
Ma l’adesione e la simpatia che Papa Francesco ha suscitato nei membri del Congresso degli Stati Uniti dimostra che la sua rivalutazione della politica è ben accolta da tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il Papa ha conquistato il loro cuore, cominciando il suo discorso con le parole dell’Inno nazionale, che ricordano «la terra dei liberi e la casa dei valorosi», e poi li ha spinti a rendere effettivo il loro coraggio, lottando per «riformare il mondo», come si afferma in Laudato si’, e a rendere effettiva questa libertà, non permettendo che «la politica sia schiava dell’economia e delle finanze».
Il Papa trova i suoi interlocutori preferiti in quelle persone che, come voleva Paolo VI, non si limitano a informarsi e a esprimere un’opinione, ma si impegnano in una responsabilità politica comune (cfr OA 47). La riabilitazione della politica è «un fatto collettivo», come affermavano i vescovi francesi, e nella pratica si ottiene apprezzando chiunque lavora per il bene comune. La politica si esercita in modo dialogico, creando consenso e impegno comune. Dove incontra questi atteggiamenti, il Papa riceve un’accoglienza migliore.
Un discorso pastorale
Quale concezione si trova dietro questa sfida che ci viene rivolta dal Papa e che ci coinvolge tutti? Senza dubbio si tratta di una concezione chiaramente pastorale. Un discorso è «pastorale» quando si incultura per evangelizzare, quando si abbassa e si fa povero (cfr 2 Cor 8,9), affinché l’altro, a partire dalla sua cultura, scelga che cosa far proprio di quanto gli viene proposto e, per così dire, «evangelizzi se stesso»; o meglio, affinché lo Spirito entri direttamente in contatto con quella persona, o quel gruppo, o quel popolo, senza che la cultura del predicatore sia di ostacolo, non perché è cattiva, ma perché è diversa. Questo è il «farsi tutto a tutti» di Paolo (cfr 1 Cor 9,19-20).
Possiamo ricordare due esempi di questo «abbassamento» dati dal Papa. Il primo lo ha dato in Bolivia, quando ha parlato della Vergine. Facendo appello al cuore dei suoi ascoltatori, ha chiesto loro: «Teniamo sempre nel cuore la Vergine Maria […], una madre senza tetto, che seppe trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù […]. Prego la Vergine Maria, così venerata dal popolo boliviano, affinché faccia sì che questo nostro incontro sia lievito di cambiamento»17. E dopo questo momento emozionante, ha concluso, dicendo a braccio: «Sembra che il prete parli assai, no?».
Questa capacità del Papa di relativizzarsi e di tenere conto anche della situazione di quelli che potrebbero essere ascoltatori meno commossi o interessati, rivela un suo fine pastorale: mentre consegna il messaggio più valido — il modello della Vergine —, egli sente il dovere di ritrarsi — non è «il Papa», ma «un prete che parla assai» —, perché l’ascoltatore possa rimanere con la «sua» Madonna.
Il secondo esempio il Papa lo ha dato a Washington, con il suo modo umile di concludere un discorso che potremmo definire «storico», dicendo semplicemente: «In queste note ho cercato di presentare alcune delle ricchezze del vostro patrimonio culturale, dello spirito del popolo americano». Il Papa ha impostato il suo discorso al Congresso in chiave «filiale», presentando al popolo americano l’esempio dei «sogni di tre dei suoi figli e di una delle sue figlie». La prospettiva umile la possiamo avvertire nel desiderio di Papa Francesco di parlare all’anima del popolo americano, definendosi come «un figlio di immigrati, come molti di voi», che parla a un popolo «di suoi figli». Egli ha detto, tra l’altro: «Non è ciò che volevamo per i nostri figli?».
Al giornalista che lo interpellava sulla sua influenza sui Movimenti popolari e che affermava: «Lei si pone come nuovo leader mondiale delle politiche alternative», il Papa ha risposto: «Il mondo dei movimenti popolari è una realtà; è una realtà molto grande, in tutto il mondo. Io che ho fatto? Ciò che ho fatto è dare loro la dottrina sociale della Chiesa, lo stesso che faccio con il mondo dell’impresa» (e della politica, possiamo aggiungere ora, dopo il discorso a Washington).
I discorsi del Papa sono «un sunto della dottrina sociale della Chiesa, ma applicata alla loro situazione». Questo riferimento alla «situazione» è significativo: è il «di più» che Papa Francesco apporta, il discernimento di che cosa si debba dire e con quale linguaggio adatto alle diverse circostanze debba essere detto. Il contenuto è la dottrina sociale: «Sono io — ha detto Papa Francesco — che seguo la Chiesa. Semplicemente predico la dottrina sociale della Chiesa a questi Movimenti. Non è una mano tesa verso un nemico. Non è un fatto politico, no. È un fatto catechetico. Voglio che questo sia chiaro»18.
«Un fatto catechetico»
Questa espressione usata dal Papa richiama la nostra attenzione: che cosa significa per Francesco «fare catechismo»? Il catechismo non è un genere minore di teologia, come non lo sono le omelie di Santa Marta. Le catechesi delle Udienze del mercoledì non sono le uniche del Papa: egli fa catechesi in quasi tutti i suoi incontri; il suo atteggiamento costante è quello di un catechista.
Questo lo si deve alla sua formazione gesuitica. Ai professi della Compagnia di Gesù, assieme al voto di obbedienza al Papa, sant’Ignazio di Loyola ha voluto far emettere un voto particolare: quello di «fare catechismo ai bambini e alle persone semplici». Quando dice che il suo discorso è «catechetico», il Papa manifesta il suo modo di considerare gli ascoltatori. La sua semplicità, le sue metafore e i suoi aneddoti, il suo modo diretto di parlare, le sue ripetizioni, le sue affermazioni dottrinali non sono frutto soltanto della sua spontaneità naturale, ma di un’opzione pastorale.
Quando parla nella Messa, egli fa un’omelia; in altri ambiti, fa catechismo. Non dà lezioni né di esegesi, né di teologia dogmatica, né di dottrina sociale: predica il kerygma e fa catechismo. Quando la gente dice di capirlo, non si riferisce soltanto al contenuto dei suoi discorsi, ma anche al genere letterario che egli usa.
Per Francesco, «il catechista è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. È impegnativo questo! Impegna tutta la vita!»19.
Quando racconta la storia dei sette figli di una madre maccabea, i quali, per non rinnegare Dio, sono stati martirizzati dal tiranno, Papa Francesco dice di essere stato colpito da un particolare di questa donna: il fatto che la Bibbia sottolinei che lei «parlava in dialetto, nella propria lingua», «proprio — aggiunge Francesco — come fa la nostra Chiesa madre, che ci parla in quella lingua della vera ortodossia che tutti noi capiamo, quella lingua del catechismo, quella lingua forte, che ci fa forti e ci dà anche la fortezza per andare avanti nella lotta contro il male»20.
Ai membri dei Movimenti popolari dei popoli latinoamericani, i quali generalmente hanno seguito, da bambini, il catechismo, il Papa ha parlato della Vergine nella «lingua del catechismo». E ai membri del Congresso ha mostrato l’immagine di Mosè, che presiede la loro Sala, evocando ricordi del catechismo ad ebrei e a cristiani. È questo il genere letterario a partire dal quale vanno interpretati i suoi discorsi politici. Questi allora acquistano tutta la loro forza profetica ed evangelica e perdono qualsiasi altra connotazione che possano avere quando vengono letti con altri parametri.
Mistica politica
Oltre agli accenti propri di Francesco, che riconducono la dottrina sociale alla realtà, c’è un tono emotivo che rende i suoi discorsi «speciali». Il Papa lo ha espresso chiaramente quando ha parlato dell’emozione e della commozione davanti alla sofferenza dei poveri con tratti concreti: «Questa emozione fatta azione comunitaria non si comprende unicamente con la ragione: ha un “di più” di senso che solo i popoli capiscono e che dà la propria particolare mistica ai veri movimenti popolari»21.
Negli Stati Uniti, il di più di senso si trova nel riferimento che il Papa ha fatto ai sogni degli Stati Uniti: i quattro sogni di Lincoln, Luther King, Dorothy Day e Merton, «sogni che risvegliano ciò che di più profondo e di più vero si trova nei popoli»; il sogno di milioni di persone che sono emigrate in questa «terra che ha ispirato così tante persone a sognare» (così egli ha concluso il suo discorso).
Come si vede, Francesco parla di mistica e di un «più» di senso, qualcosa che possono comprendere i popoli. A quel livello alto, egli si colloca in modo dialogico, fiducioso di trovare comprensione. Per questo i passi più significativi dei suoi discorsi sono caratterizzati da un «voi e io», che si trasforma in «noi». La politica è la costruzione comune di quel «noi» che sono i popoli. E in quelle persone, esteriormente così diverse, Francesco trova quel punto che le accomuna e le riunisce come un magnifico poliedro: il sogno e la passione per il bene comune, che, più che polis, li rende popolo della «Patria Grande» e del Pianeta.
Il vertice del discorso ai Movimenti popolari è costituito dall’invito che il Papa ha rivolto a tutti a pregare con quella «preghiera politica» che si può ben aggiungere alle due preghiere con cui termina l’enciclica Laudato si’: «Ripetiamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun popolo senza sovranità, nessuna persona senza dignità, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza una venerabile vecchiaia».
Nel discorso a Washington, il vertice ci sembra che stia nell’uso del «noi» con il quale il Papa ha coinvolto i membri del Congresso ogni volta che si trattava di far loro «desiderare il bene comune», che è un modo di farli pregare: «La sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti»; «Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati…».
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Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.
Conclusione
Il discorso ai Movimenti popolari e il discorso al Congresso degli Stati Uniti si rivelano dunque come una catechesi sulla dottrina sociale della Chiesa fatta da Papa Francesco ai suoi interlocutori. Vale a dire, come una catechesi totalmente situata e contestualizzata. Con il «di più» che ha tutto ciò che acquista la consistenza dell’«universalità concreta». In quanto universale, esso ha la forza di un messaggio rivolto a tutti; in quanto concreto, è possibile raccoglierne il frutto e tradurlo in altre realtà, avendo comunque cura di non sottrarre le cose al loro contesto.
Ogni persona, ogni gruppo, ogni settore della società deve ascoltare il messaggio comune della dottrina sociale della Chiesa e la parte specifica che lo riguarda, lasciandosi conquistare il cuore, come se lo sono lasciato conquistare, ognuno a modo suo, i membri dei Movimenti popolari e i membri del Congresso americano. Così ogni settore si trasforma in agente attivo e creativo dell’auspicata e necessaria riabilitazione della politica.
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Riproduzione riservata
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1. Papa Francesco, Discorso all’Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, 24 settembre 2015.
2. Id., Discorso al II Incontro dei Movimenti popolari, 9 luglio 2015. Riguardo al primo discorso, cfr A. Spadaro, «I Movimenti popolari in Vaticano. Intervista con p. Diego Fares S.I.», in Civ. Catt. 2015 III 488-499.
3. Id., Incontro con la classe dirigente del Brasile, 27 luglio 2013, in www.vatican.va (corsivo nostro).
4. Tommaso d’Aquino, s., De caritate, a. 9, ad 15.
5. Aristotele, In Ethic, 1, 2 (25); Tommaso d’Aquino, s., Commento all’Etica Nicomachea di Aristotele, Bologna, Esd, 1998, 52 s.
6. F. Truini, La pace in Tommaso d’Aquino, Roma, Città Nuova, 2008, 356.
7. «Tale è il campo della politica che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore» (Pio XI, «Allocuzione ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica», 18 dicembre 1927, in Discorsi di Pio XI, a cura di B. Bertetto, Torino, 1960, t. I, 743).
8. J. M. Bergoglio, La nación por construir, VII Giornata di Pastorale sociale, Buenos Aires, 25 giugno 2005.
9. Cfr «Entrevista al papa Francisco», in La Vanguardia, 12 giugno 2014, in cui il Papa ricorda questa dichiarazione dei vescovi francesi.
10. Cfr J. M. Bergoglio, Reflexiones en esperanza, Buenos Aires, Universidad del Salvador, 1992, 275-299 (traduzione nostra). Cfr la traduzione italiana: Papa Francesco, Non fatevi rubare la speranza, Milano, Mondadori, 2013, 173-192 (nel testo vengono citati i numeri della lezione).
11. Cfr Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, n. 88. «Se la giustizia sociale ci fa rispettare il bene comune, solo la carità sociale ce lo fa amare. La carità, che vuol dire amore fraterno, è il motore di tutto il progresso sociale» (Paolo VI, Discorso in occasione del 25° anniversario della Fao, 16 novembre 1970). «Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. […] È questa la via istituzionale — e possiamo anche dire politica — della carità» (Benedetto XVI, Enciclica Caritas in veritate, n. 7).
12. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 581.
13. J. V. Schall, «Apocalyptic and Utopian: On Pope Francis’ Bolivian Manifesto», in The Catholic World Report, 24 luglio 2015.
14. Papa Francesco, Conversazione con i giornalisti nel viaggio di ritorno da Asunción a Roma, 13 luglio 2015, in www.vatican.va
15. Cfr Id., Messaggio al presidente esecutivo del World Economic Forum in occasione del meeting annuale a Davos-Klosters (Svizzera), 17 gennaio 2014, in www.vatican.va
16. Id., Discorso al II Incontro mondiale dei Movimenti popolari, cit., n. 3.1.
17. Ivi, n. 2.
18. Id., Conversazione con i giornalisti nel viaggio di ritorno da Asunción a Roma, cit. (corsivi nostri).
19. Id., Omelia nella Messa per la «Giornata dei catechisti», 29 settembre 2013, in www.vatican.va
20. Id., Omelia in Santa Marta, 17 settembre 2013, in www.news.va/it/sites/meditazioni (corsivo nostro).
21. Id., Discorso nel II Incontro mondiale dei Movimenti popolari, cit., n. 2 (corsivo nostro).