
|
Splendore, dramma, mistero: sono le tre parole con le quali Francesco offre al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà Querida Amazonia, la sua Esortazione apostolica post-sinodale relativa al Sinodo speciale per l’Amazzonia, che si è svolto a Roma dal 6 al 27 ottobre 20191.
Un documento di «risonanza» che fa luce sul ministero petrino
Querida Amazonia è singolare: è la prima volta che un documento di tale importanza magisteriale si presenta esplicitamente come un testo che ne accompagna un altro, cioè il Documento finale del Sinodo intitolato Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Il Papa afferma: «Con questa Esortazione desidero esprimere le risonanze che ha provocato in me questo percorso di dialogo e di discernimento. Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo. Desidero solo offrire un breve quadro di riflessione che incarni nella realtà amazzonica una sintesi di alcune grandi preoccupazioni che ho già manifestato nei miei documenti precedenti, affinché possa aiutare e orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’intero cammino sinodale» (n. 2).
Francesco non sviluppa tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Lo ha voluto «presentare ufficialmente» (n. 3), senza «sostituirlo né ripeterlo» (n. 2). Esso, infatti, ha il peso di un Documento sinodale conclusivo con le proposte presentate e votate dai padri sinodali. L’Esortazione Querida Amazonia contiene le riflessioni di papa Francesco su tutto il cammino sinodale e ha l’autorità del magistero ordinario del Successore di Pietro.
Con il suo magistero pontificio, quindi, Francesco intende esprimere le risonanze che ha provocato in lui il percorso sinodale di dialogo e di discernimento, offrendone in maniera autorevole un quadro di riflessione che ne aiuti e orienti la ricezione, invitando a «leggerlo integralmente» (n. 3). E questo all’interno di un cammino che è in divenire e non può certamente dirsi concluso.
Anzi, il Pontefice, invitando a leggere il Documento finale, afferma: «Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione e che possa ispirare in qualche modo tutte le persone di buona volontà» (n. 4).
Certo, in alcuni dei suoi temi questa applicazione sarà più semplice, e in altri sarà più lenta e complessa o dovrà seguire tempi lunghi. Ma il Papa si esprime perché vuole dare impulso al processo in corso, non bloccarlo. E lo fa segnalando con forza le cose mature e lasciandone alla maturazione altre secondo i tempi dello Spirito, ora prevedendo cambiamenti nell’immediato, ora non prevedendone.
Francesco ha maturato tutto questo sedendo giorno per giorno con i vescovi radunati nel Sinodo – da mattina a sera – e ascoltando ogni loro singola parola e il modo nel quale l’hanno espressa. Si tratta dunque di un magistero di ascolto, che orienta e discerne, al di là di ogni pressione mediatica o di maggioranze referendarie su questo o quell’argomento o proposta. È proprio questo il ruolo di Pietro nella Chiesa. Chiaramente quello di Francesco è anche un contributo alla riflessione sul rapporto tra primato e sinodalità, della quale si avverte sempre di più l’esigenza.
Contemplazione e «logos» poetico nel magistero pontificio
Altra nota importante: l’Esortazione ha uno specifico taglio contemplativo. Sette volte nel documento risuona questo appello alla contemplazione e allo «sguardo estetico». In un paragrafo Francesco parla della «profezia della contemplazione». Chiede, in particolare, di imparare dai popoli indigeni ad assumere questo sguardo per evitare di considerarla solamente un caso da analizzare o un tema sul quale impegnarsi.
C’è il preciso riconoscimento di un «mistero» che si traduce in «legame» di rispetto e amore, che è proprio della contemplazione. L’Amazzonia come terra è «madre» con la quale entrare in comunione. Così, «se entriamo in comunione con la foresta, facilmente la nostra voce si unirà alla sua e si trasformerà in preghiera: “Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne”» (n. 56). La citazione è da Sui Yun (Katie Wong Loo), poetessa amazzonica di origine cinese.
Ecco come si traduce lo sguardo contemplativo: in poesia. Questa Esortazione è intrecciata di citazioni poetiche, perché la poesia custodisce il senso e lo attinge – specialmente in questo caso – in maniera peculiare dall’esperienza. Il Papa lo ritiene indispensabile e così cita nel suo discorso ben 16 scrittori e poeti, in buona parte amazzonici e popolari2.
In tal senso, accanto alle storie e alle testimonianze, il Pontefice include come parte integrante del testo magisteriale il logos poetico e simbolico. Tra realtà, pensiero e visione poetica non sembrano esserci cesure. Infatti, alcune cose (ad esempio la nozione di «qualità della vita») possono essere comprese solamente «all’interno del mondo dei simboli» (n. 40), che hanno la capacità di connettere. L’Amazzonia, peraltro, «è diventata fonte di ispirazione artistica, letteraria, musicale, culturale» (n. 35). Le varie arti, e soprattutto la poesia, sono state ispirate dall’acqua, dalla giungla, dalla vita che è viva, oltre che dalla diversità culturale e dalle sfide ecologiche e sociali. L’operazione compiuta da Francesco è più forte di quel che può sembrare in apparenza. Dando voce ai poeti, egli contesta l’approccio efficientista, tecnocratico e consumista all’Amazzonia e alle sue grandi questioni.
Consequenzialmente Francesco espone i suoi argomenti articolandoli non in quattro «temi», ma in quattro «sogni». Il sogno unisce una calda connotazione affettiva e interiore a questioni che sono a volte davvero spinose e complesse.
Il «sogno sociale», indispensabile a un vero approccio ecologico
Il primo sogno illustrato da Francesco è quello di un’Amazzonia che integri e promuova tutti i suoi abitanti affinché possano consolidare un «buon vivere» (n. 8) come alternativa al moderno ed efficientistico «vivere sempre meglio».
Il grido che sale dalle foreste si trasforma in un grido urbano. L’Amazzonia sta affrontando un disastro ecologico che minaccia sia il bioma sia i popoli amazzonici. Un punto centrale del discorso di Francesco è che «oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (Laudato si’, n. 49). Le popolazioni indigene sono state spesso impotenti davanti alla distruzione dell’ambiente naturale che permetteva loro di nutrirsi, di guarire, di sopravvivere e di preservare una cultura che dava loro identità e significato.
E il grido che sale dalle foreste si trasforma in un grido urbano. Gli interessi economici, infatti, hanno provocato e incoraggiato i movimenti migratori delle popolazioni indigene verso le periferie delle grandi città, che sono caratterizzate da forti disuguaglianze. Lì queste popolazioni «non incontrano una reale liberazione dai loro drammi, bensì le peggiori forme di schiavitù, di asservimento e di miseria». Proprio nei contesti urbani crescono anche la xenofobia, lo sfruttamento sessuale e la tratta di esseri umani. «Per questo il grido dell’Amazzonia non si leva solamente dal cuore delle foreste, ma anche dall’interno delle sue città» (n. 10).
L’Amazzonia – lamenta il Papa – è stata presentata come «un’immensità selvaggia da addomesticare» (n. 12), uno spazio da occupare e spartire in funzione di interessi esterni. Gli indigeni sono visti come «intrusi», più «un ostacolo di cui liberarsi che come esseri umani con la medesima dignità di chiunque altro e con diritti acquisiti» (ivi). Questo approccio è chiaramente giudicato «colonialista».
Le due vie per affrontare la sfida. Il Pontefice segnala almeno due vie importanti per affrontare la sfida (e il sogno) sociale. La prima è aver ben chiaro che i protagonisti sono proprio gli indigeni. Non basta la «difesa» di chi è vittima del colonialismo che abbiamo descritto: è necessario considerarli «protagonisti» e valorizzare il «protagonismo degli attori sociali» (n. 40). La seconda è il senso della comunità e del dialogo sociale. In fondo, una delle grandi sfide per l’Amazzonia è quella di essere luogo di dialogo sociale, soprattutto tra i diversi popoli indigeni, per trovare forme di comunione e di lotta comune. Non è affatto da dare per scontato il dialogo tra differenti popolazioni e tribù spesso divise tra loro.
Inoltre, se all’interno di ogni comunità è forte il senso di insieme e di gruppo che plasma lavoro, riposo, relazioni umane, riti e celebrazioni, è anche vero che questo senso non va di pari passo con quello delle istituzioni. Vari Paesi della regione sono governati a livello istituzionale in modo precario e corrotto: così si perde la fiducia nelle istituzioni e nei loro rappresentanti, il che – denuncia il Papa – scredita totalmente la politica e le organizzazioni sociali. Qui c’è molto da lavorare, e Francesco indica un compito preciso.
Un sogno culturale, che scardina la logica colonialista
Se il sogno sociale richiede una voce profetica, si impone un «sogno culturale», capace di scardinare la logica colonialista. Popoli abituati ad avere relazioni umane «impregnate dalla natura circostante» (n. 20) oggi «finiscono per occupare le periferie o i marciapiedi delle città, talvolta in una situazione di miseria estrema, ma anche di frammentazione interiore dovuta alla perdita dei valori da cui erano sostenuti. In tale contesto, solitamente perdono i punti di riferimento e le radici culturali che conferivano loro un’identità e un senso di dignità, e vanno ad allungare la fila degli scartati. Così si interrompe la trasmissione culturale di una saggezza che ha attraversato i secoli, di generazione in generazione» (n. 30).
Il sogno culturale richiede di prendersi cura delle radici e della diversità. Per secoli i popoli amazzonici si sono presi cura delle radici trasmettendo oralmente la loro saggezza culturale, con miti, leggende, narrazioni. Ecco perché – scrive il Pontefice, citando la Christus vivit – «è importante “lasciare che gli anziani facciano lunghe narrazioni” e che i giovani si fermino a bere a questa fonte» (n. 34). Alcuni popoli hanno cominciato a scrivere per raccontare le loro storie e non perderle, anche recuperando la memoria danneggiata. Le radici vanno curate.
Nello stesso tempo c’è una cura per la diversità, che da bandiera o confine deve trasformarsi in un ponte. Il Papa non intende «proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato» (n. 37). Il dialogo tra foresta e città è indispensabile. E così quello tra indigeni e non indigeni, sebbene il rischio di essere travolti dalle invasioni culturali sia forte. Ma quel che deve prevalere è il «senso di corresponsabilità nei confronti della diversità che abbellisce la nostra umanità» (ivi).
E anche tra i diversi popoli indigeni – come aveva affermato il Documento della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano di Aparecida del 2007 – è possibile sviluppare «relazioni interculturali nelle quali la diversità non rappresenta una minaccia, non giustifica gerarchie di potere esercitato dagli uni sugli altri, ma significa un dialogo, a partire da visioni culturali differenti, fatto di celebrazione, di interrelazioni, di rivitalizzazione della speranza» (n. 38).
Si apre un lavoro enorme che riguarda «i gruppi umani, i loro stili di vita e le loro visioni del mondo», che «sono vari tanto quanto il territorio, avendo dovuto adattarsi alla geografia e alle sue risorse» (n. 32): i villaggi di pescatori, i villaggi di caccia, quelli di raccolta nell’entroterra o i villaggi che coltivano le terre alluvionali.
«Sogno ecologico»
Così si apre lo scenario del terzo sogno di Francesco, quello «ecologico». Nella descrizione di questo sogno, la sintonia profondissima con la Laudato si’ è evidente. Ma anche con il magistero precedente. In particolare, con quello di Benedetto XVI, il quale ha detto che «oltre all’ecologia della natura c’è un’ecologia che possiamo chiamare “umana”, che a sua volta richiede una “ecologia sociale”» (n. 41).
La cura congiunta di persone ed ecosistemi. Nella realtà amazzonica, dove c’è un rapporto così stretto tra l’uomo e la natura, «l’esistenza quotidiana è sempre cosmica». La cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili. Per le popolazioni amazzoniche, «abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro» (n. 42). Il danno alla natura e lo sfruttamento della terra feriscono. «La terra ha sangue e si sta dissanguando, le multinazionali hanno tagliato le vene alla nostra Madre terra» (n. 42), scrive efficacemente Francesco, citando i documenti del Sinodo della diocesi di San José del Guaviare e di Granada, e dell’arcidiocesi di Villavicencio, in Colombia. Ampie citazioni narrative e poetiche permettono al Papa di descrivere questo «sogno fatto d’acqua», perché in Amazzonia «l’acqua è la regina, i fiumi e i ruscelli sono come vene, e ogni forma di vita origina da essa» (n. 43).
Gestire il territorio in modo sostenibile. Francesco chiede di non essere ingenui e avere ben presente che, «oltre agli interessi economici degli imprenditori e dei politici locali, ci sono anche enormi interessi economici internazionali». Gli attacchi alla natura hanno conseguenze per la vita dei popoli: dai megaprogetti non sostenibili (progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento massiccio, monocolture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche, ferrovie, progetti minerari e petroliferi) all’inquinamento causato dall’industria estrattiva e dalle discariche urbane.
Al Sinodo non si è mai affermato che la Chiesa sia contro i progetti di modernizzazione positiva e inclusiva. Certamente però la Chiesa ha assunto la piena consapevolezza che la sua dottrina sociale ha oggi a cuore la difesa del Pianeta e che essa va in rotta di collisione con interessi politici ed economici appoggiati dalla complicità di alcuni governanti e di alcune autorità indigene.
Per Francesco la soluzione del problema non è da trovare nelle proposte di «internazionalizzazione dell’Amazzonia». La responsabilità dei governi nazionali si sta facendo via via sempre più grave. Mentre «i più potenti non si accontentano mai dei profitti che ottengono, e le risorse del potere economico si accrescono di molto con lo sviluppo scientifico e tecnologico» (n. 52).
Gli organismi internazionali e le organizzazioni della società civile hanno dunque un’importanza strategica nel sensibilizzare le popolazioni e nell’agire, «anche utilizzando legittimi sistemi di pressione, affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi ad ambigui interessi locali o internazionali» (n. 50). Gestire il territorio in modo sostenibile: questo è l’obiettivo.
Un «sogno ecclesiale»
La consapevolezza radicale che la Chiesa sia chiamata a camminare con il popolo dell’Amazzonia porta Francesco a elaborare e descrivere un sogno legato proprio alla vita della Chiesa. Questo sogno ha una storia. In America Latina, infatti, esso si è formato e declinato in alcune tappe privilegiate, come la Conferenza episcopale di Medellín (1968) e la sua applicazione in Amazzonia a Santarém (1972), e poi a Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). Il cammino continua. E l’obiettivo è quello di «sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico».
Tante cose sono importanti in questo processo di incarnazione e inculturazione: organizzazioni sociali, dibattiti e programmi politici. Però occorre che il grande annuncio missionario e salvifico di Cristo risuoni sempre di più. Il Papa parla di un «diritto all’annuncio del Vangelo», soprattutto al primo annuncio, il kerygma.
La parola chiave del sogno ecclesiale è «inculturazione». Francesco ripete la parola «inculturazione» una ventina di volte. La Chiesa, mentre annuncia sempre di nuovo il kerygma, «riconfigura sempre la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del suo territorio» (n. 66). Solo una Chiesa missionaria inserita e inculturata porterà alla nascita di particolari Chiese autoctone, dal volto e dal cuore amazzonici, radicate nelle culture e tradizioni proprie dei popoli, unite nella stessa fede in Cristo e diverse nel loro modo di viverla, esprimerla e celebrarla.
Il cristianesimo non ha una sola modalità culturale. C’è un rapporto dialettico tra fede e cultura: da una parte, lo Spirito Santo feconda la cultura con la forza trasformatrice del Vangelo; dall’altra, la Chiesa si arricchisce della cultura che incontra, di ciò che lo Spirito aveva già seminato in essa.
Ascoltare la saggezza ancestrale. Inculturare il Vangelo in Amazzonia significa quindi, per Francesco, ascoltare la saggezza ancestrale, ridare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare nel tempo le ricche narrazioni dei popoli. La narrazione unisce la testimonianza e la potenza del simbolo.
Il Papa riconosce che la regione ha già ricevuto le ricchezze che provengono dalle culture precolombiane. Gli indigeni che vivono nella regione panamazzonica hanno un’eredità mitologica che rimane viva. La spiritualità dei popoli originari è caratterizzata dalla relazione naturale e culturale tra gli indios e la foresta, i fiumi, la terra, gli animali, in un’intricata rete di reciprocità. Da questo atteggiamento provengono il senso di gratitudine per i frutti della terra, la sacralità della vita umana e il valore della famiglia, il senso di solidarietà e corresponsabilità nel lavoro comune, la fede in una vita al di là della dimensione terrena.
Francesco cede la parola a monsignor Pedro Casaldáliga, assumendo i suoi versi: Galleggiano ombre di me, legni morti. / Ma la stella nasce senza rimprovero / sopra le mani di questo bambino, esperte, / che conquistano le acque e la notte. / Mi basti conoscere / che Tu mi conosci / interamente, prima dei miei giorni.
Il rapporto con Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, «non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica». Infatti, Cristo è anche il Risorto che penetra tutte le cose: «Egli è gloriosamente e misteriosamente presente nel fiume, negli alberi, nei pesci, nel vento, in quanto è il Signore che regna sul creato senza perdere le sue ferite trasfigurate» (n. 74). Occorre, certamente, far maturare il rapporto con Dio presente nel cosmo in un rapporto personale con un «Tu» che ci conosce e ci ama.
Notiamo che, all’interno di questa riflessione, il Pontefice chiede di non qualificare come «superstizione» o «paganesimo» alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita dei popoli. Bisogna fare un discernimento, perché – come Francesco ha scritto nell’Evangelii gaudium – «nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura» (n. 78). Dunque, è possibile trovarsi davanti a un simbolo indigeno senza necessariamente essere in un contesto di idolatria. Ci sono miti carichi di un senso spirituale che può essere condiviso senza ritenerlo frettolosamente «un errore pagano» (n. 79).
E il Papa offre un importantissimo criterio di discernimento pastorale, che riportiamo qui integralmente: «Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata» (ivi).
Giustizia e santità. Data la situazione di povertà e di abbandono di tanti abitanti dell’Amazzonia, per Francesco l’inculturazione deve avere anche «un timbro fortemente sociale ed essere caratterizzata da una ferma difesa dei diritti umani, facendo risplendere il volto di Cristo che “ha voluto identificarsi con speciale tenerezza con i più deboli e i più poveri”» (n. 75).Viene così affermata l’intima connessione tra l’evangelizzazione e la promozione umana, come Francesco aveva già affermato nell’Evangelii gaudium, n. 178. Sociale e spirituale, contemplazione e servizio sono da integrare. La fede non è alienante e individualista. D’altra parte, non è accettabile un impegno puramente orizzontale che mutili la dimensione trascendente e spirituale. Il Papa parla anzi di una «santità amazzonica». L’espressione colpisce. Non ci sono santità standard, valide sempre e dovunque. Anche la santità è inculturata, cioè incarnata nella vita di un popolo particolare (cfr n. 80).
L’ inculturazione della liturgia e i ministri dei sacramenti. L’inculturazione ha nei sacramenti un cammino di particolare importanza: in essi il divino e il cosmico, la grazia e la creazione si trovano uniti. I sacramenti sono pienezza del creato: la natura è elevata a essere luogo e strumento di grazia.Questo approccio «ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli» (n. 82).
Si pone quindi la questione dei ministri dei sacramenti: la pastorale della Chiesa ha una presenza precaria in Amazzonia. L’immensa estensione territoriale, la grande diversità culturale, i gravi problemi sociali, l’isolamento sono tutti fattori che rendono difficile la cura delle comunità cristiane e l’evangelizzazione. Questo, scrive Francesco, non può lasciarci indifferenti ed esige una risposta specifica e coraggiosa (cfr n. 85).
Al riguardo, due sono le questioni che il Papa fa risuonare nella sua Esortazione, senza voler cancellare tutto l’ampio dibattito sinodale, poi impresso nel Documento finale: «[…] il lamento di tante comunità dell’Amazzonia “private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo”. Ma nello stesso tempo c’è bisogno di ministri che possano comprendere dall’interno la sensibilità e le culture amazzoniche» (n. 86).
Francesco vuole innanzitutto chiarire ciò che è più «specifico» per il sacerdote, ciò che dunque non può essere svolto da altri: il presiedere l’Eucaristia e perdonare i peccati. La sua funzione specifica, primaria e non delegabile è questa. E così il Papa distingue bene tra sacerdozio e potere. L’essere la massima autorità della comunità, dunque la dimensione gerarchica, «non equivale a stare al di sopra degli altri, ma “è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo”» (n. 87). Quando si afferma che il sacerdote è un segno di «Cristo capo», il significato principale è che Cristo è la fonte della grazia. Questo è il suo grande «potere»; solo lui può dire: «Questo è il mio corpo», e: «Ti assolvo dai tuoi peccati».
Sviluppare una cultura ecclesiale marcatamente laicale. Che cosa significa tutto questo nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue giungle e nei luoghi più remoti? Significa innanzitutto che bisogna dare aria e spazio ai laici. Questo è un punto chiave dell’Esortazione, che compie un’opzione precisa. Il problema pastorale non si risolve con più preti, ma lasciando spazio ai laici, i quali possono – come già fanno – annunciare la Parola di Dio, insegnando, organizzando le comunità con ruoli di leadership, ma anche celebrare alcuni sacramenti, dando vivacità alla pietà popolare (cfr n. 89).
Questa prospettiva viene incoraggiata sulla base di ciò che avviene già di fatto e riconoscendo il ruolo fondamentale dei catechisti. Ma «non è possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia» (ivi; cfr Presbyterorum ordinis, n.6)3. Resta l’appello aperto alla riflessione ulteriore e al discernimento ecclesiale, perché «è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono» (n. 89).
Francesco poi fa un discorso che valorizza l’ampia ministerialità della Chiesa. Scrive anche dei diaconi permanenti e ritiene che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia. Ma anche i religiosi e i laici sono chiamati ad assumersi importanti responsabilità per la crescita delle comunità. Anzi, il Pontefice ribadisce che, come afferma il Codice di diritto canonico (517), è possibile che il vescovo affidi la partecipazione all’esercizio della cura pastorale della parrocchia a un diacono o a un’altra persona che non abbia la qualifica di sacerdote.
Chiede dunque «lo sviluppo di una vera e propria cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale», «attraverso un incisivo protagonismo dei laici» (n. 94). In questo senso l’Esortazione elogia il cammino delle «comunità di base», quando hanno saputo integrare la difesa dei diritti sociali con l’annuncio missionario e la spiritualità.
Così il Papa incoraggia l’approfondimento del compito congiunto che si sta svolgendo attraverso la Repam, cioè la Red eclesial panamazónica, e altre associazioni, al fine di stabilire, tra le Chiese locali di vari Paesi sudamericani che si trovano nel bacino amazzonico, una pastorale congiunta di rete. Infine, Francesco ricorda che in Amazzonia c’è una grande mobilità interna, una migrazione costante e spesso pendolare. Il fenomeno richiede un’elaborazione pastorale. Per questo invita a pensare a «gruppi missionari itineranti» (n. 98).
La dimensione ecumenica e interreligiosa. Nell’Esortazione, il Papa inserisce un paragrafo specifico sulla dimensione ecumenica e interreligiosa. Egli chiede di «trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri» (n. 106). Ciò che ci unisce, infatti, «è ciò che ci permette di essere nel mondo senza che ci divorino l’immanenza terrena, il vuoto spirituale, il comodo egocentrismo, l’individualismo consumista e autodistruttivo» (n. 108). Con gli altri cristiani, poi, «ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono» (n. 109).
A questo riguardo, non ci deve essere il timore di perdere la propria identità. «Se uno crede che lo Spirito Santo può agire in chi è diverso, allora proverà a lasciarsi arricchire da quella luce, ma la accoglierà dall’interno delle sue convinzioni e dalla sua identità. Perché tanto più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo» (n. 106). È questo un criterio straordinario di ecumenismo valido per la Chiesa intera.
Podcast | SIRIA. «LA SITUAZIONE ECONOMICA È CATASTROFICA»
Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.
La forza e il dono delle donne
Un paragrafo specifico del «sogno» di Francesco per la Chiesa in Amazzonia riguarda le donne. In effetti, durante il Sinodo è apparso chiaro dai racconti che in Amazzonia ci sono comunità che hanno trasmesso la fede per molto tempo, senza che nessun sacerdote passasse, anche per decenni. E ciò è avvenuto grazie alla presenza di «donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo» (n. 99). Allora le donne dovrebbero «poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali», che «comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile» (n. 103). La figura di Maria resta il modello e l’ispirazione perché le donne diano «il loro contributo alla Chiesa secondo il modo loro proprio e prolungando la forza e la tenerezza di Maria, la Madre» (n. 101). E alla «Madre dell’Amazzonia» è dedicato l’ultimo capitolo dell’Esortazione, che si conclude con una invocazione.
Espandere gli orizzonti oltre il conflitto
L’Esortazione presenta un paragrafo molto importante dal titolo «Ampliare orizzonti al di là dei conflitti». Esso è il punto focale dell’ispirazione del testo. Prende avvio dalla constatazione che «in un determinato luogo, gli operatori pastorali intravedano soluzioni molto diverse per i problemi che affrontano, e perciò propongano forme di organizzazione ecclesiale apparentemente opposte» (n. 104). Il Pontefice non fa riferimenti espliciti a un problema o all’altro, ma registra il fatto che ci sono situazioni pastorali che richiamano soluzioni opposte. Che fare, dunque, qualora ci si presentassero, ad esempio, due proposte differenti?
Riprendendo la sua Evangelii gaudium, il Papa risponde che, «quando succede questo, è probabile che la vera risposta alle sfide dell’evangelizzazione stia nel superare tali proposte, cercando altre vie migliori, forse non immaginate. Il conflitto si supera ad un livello superiore, dove ognuna delle parti, senza smettere di essere fedele a sé stessa, si integra con l’altra in una nuova realtà. Tutto si risolve “su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto”. Altrimenti il conflitto ci blocca, “perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata”» (ivi).
Questo approccio dialettico alla realtà è un criterio di azione di Francesco, un elemento fondamentale per il discernimento pastorale: non annullare un polo dialettico a favore dell’altro, ma trovare una soluzione superiore che non perda l’energia e la forza degli elementi che si oppongono.
Il Papa precisa che «in nessun modo questo significa relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose così come stanno». Significa invece desbordar – cioè traboccare, debordare –, «trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo». Solo così è possibile risvegliare «una nuova e maggiore creatività», e «scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere» (n. 105).
Il Pontefice vede questa dinamica attiva agli inizi della fede cristiana. È proprio questa logica che le ha permesso di incarnarsi nella cultura greco-romana. Questo è il criterio dell’inculturazione. Francesco ritiene che oggi in Amazzonia si viva una situazione simile: essa «ci sfida a superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali delle grandi sfide, a cercare percorsi di inculturazione più ampi e audaci».
* * *
Avviando un processo sinodale sull’Amazzonia, la Chiesa si è messa in ricerca della profezia, spostando il baricentro dall’area euro-atlantica e puntando direttamente verso una terra dove si stanno concentrando gigantesche contraddizioni di carattere politico, economico ed ecologico. Qui la Chiesa fa esperienza di un popolo che chiaramente non coincide con uno Stato nazionale, e che anzi è un insieme di popoli, perseguitati e minacciati da tante forme di violenza. Sono popoli portatori di un’enorme ricchezza di lingue, culture, riti e tradizioni ancestrali.
Per la redazione dell’Instrumentun laboris, la Chiesa si era posta in profondo ascolto di vescovi e laici provenienti da città e culture diverse, nonché appartenenti a numerosi gruppi di vari settori ecclesiali, insieme ad accademici e organizzazioni della società civile. Con il «Documento finale» si era fatto il punto del dibattito sinodale, ricco del discernimento proprio che si è vissuto nell’Assemblea. Adesso l’Esortazione apostolica accompagna e guida la ricezione di quelle conclusioni, perché esse arricchiscano, sfidino e ispirino la Chiesa universale.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2020
Riproduzione riservata
***
1. Abbiamo pubblicato un commento più ampio in una edizione dell’Esortazione: Francesco, Querida Amazonia. Con una guida alla lettura di Antonio Spadaro, Venezia, Marsilio, 2020. Questa edizione include anche il Documento finale.
2. Ana Varela, Jorge Vega Márquez, Alberto C. Araújo, Ramón Iribertegui, Yana Lucila Lema, Evaristo Eduardo de Miranda, Juan Carlos Galeano, Javier Yglesias, Euclides da Cunha, Amadeu Thiago de Mello, Vinicius de Moraes, Harald Sioli, Sui Yun, Pedro Casaldáliga. Ma anche Mario Vargas Llosa e Pablo Neruda.
3. Da qui salgono tre appelli ai vescovi: «a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali»; a essere «più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia»; e infine a «rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche» (n. 90). Il Sinodo aveva chiaramente parlato anche della mancanza di seminari per la formazione sacerdotale degli indigeni.