
La mostra in corso, allestita nella cornice del Museo Archeologico, rappresenta un omaggio agli 80 anni dello scultore padovano Elio Armano e alle sue terrecotte. Il titolo pensato per questa antologia di sculture, Terrestre, racchiude la cifra dell’intero percorso artistico dello scultore, come è spiegato anche da un evocativo esergo nella pagina dedicata sul sito dei Musei Civici, a cura di Stefano Annibaletto e Francesca Veronese: «terrestre perché lavora con la terra / terrestre perché impegno politico e civile hanno sempre guidato il suo agire».
L’interesse dello scultore per la terracotta affonda le sue radici nell’adolescenza trascorsa nel quartiere della Stanga a Padova, ed è in questo tempo – nell’attenta osservazione del paesaggio urbano e dei suoi mutamenti – che cresce anche la sua attenzione per l’architettura e per l’urbanistica. Una sensibilità, quella civile, che troverà occasione di esprimersi, come ricorda la dedica, nell’esperienza politica di Armano in veste di sindaco di Cadoneghe, cittadina che egli trasformerà in un vero e proprio laboratorio sociale e culturale.
Elio Armano nasce a Padova il 4 aprile 1945 e svolge una prima formazione presso l’istituto d’arte della sua città, per poi perfezionarsi all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove è allievo, dal 1965 al 1969, di Alberto Viani. Negli stessi anni, nella sua città natale, si sperimenta nell’ambito dei costumi e delle scenografie, collaborando con il Teatro Popolare di Ricerca, pur continuando a esercitarsi come scultore con il gesso e il bronzo e a cimentarsi in tecniche differenti, quali la litografia e l’incisione. Ripercorrendone le opere, questa esposizione intende raccontare il legame antico e attuale di Armano con la propria città. Così, infatti, si esprime lo scultore a proposito degli esordi con questo materiale: «Credo che l’uso della terracotta sia stato una sorta di predestinazione. Intorno ai quindici anni trascorrevo ore ed ore a incidere i mattoni del selciato antistante la casa dove sono nato e cresciuto, rovinando i cacciavite di mio padre che usavo a mo’ di scalpello» (www.elioarmano.it/pensieri.html).
Dalle iconiche teste forate e trafitte all’altrettanto emblematico Uomo Macchina, un gesso che risale al 1964, l’itinerario antologico si impreziosisce di creazioni come il Bestiario, i Paesaggi e, non ultima, la Città, ispirata all’utopica La Città del Sole di Campanella. Nella povertà dell’argilla, realtà elementare come del resto il fuoco che la trasforma, si esprime, in fondo, la riflessione maturata da Armano negli anni sul rapporto tra scultura e «figurazione antropomorfa», e sulla non trascurabile dimensione del tempo che ne determina i simbolismi più profondi. L’allestimento, non a caso, intende mettere a fuoco sia la continuità interna alla storia dell’arte e della tecnica, come ben testimonia la corrispondenza tra reperti archeologici e opere contemporanee, sia la personale concezione della storia umana dell’artista padovano, di cui la terracotta diventa in qualche modo metafora e precisazione.
Lungo i contorni di volti e figure umane, vasellame e antiche edicole votive, agli occhi del visitatore si delinea una direzione che trova nella tensione tra l’esigenza di geometria e il realismo antropomorfico una chiave di lettura non solo formale. È, infatti, la domanda sull’identità del «terrestre» a disegnare uno spazio in cui il passato si mescola al presente e l’archeologia apre uno scenario fisico e simbolico per ripensare i molti significati dell’umano, nonché delle sue possibili rappresentazioni: «Il loro continuo ripescare e ripensare il già stato è un segno di vitalità, di un continuo nuovo inizio. Facciano esse il loro mestiere e si lascino guardare per quel che sono, senza farsi carico delle fisime dell’autore! E, per quanto mi riguarda, non saranno certo delle povere teste di coccio a disturbare un mondo fin troppo pieno di immagini effimere» (ivi).