
Un corpo di ragazzo si agita nel buio, la musica techno a palla. Nella prima inquadratura di Noi e loro, di Delphine e Muriel Coulin, un giovane balla nell’oscurità in uno spazio nero e vuoto. È solo, però quel corpo pare riempire tutta l’inquadratura. La scena è girata con una sorta di «effetto Doppler», per cui percepiamo i movimenti del giovane quasi prolungarsi. Ombra nell’ombra, quel ragazzo solo sembra già racchiudere una moltitudine di personalità… Fin dalla prima inquadratura, il lavoro simbolico delle autrici si evidenzia potentemente e con pudore, ipnotizzando e destabilizzando lo spettatore. Il «noi» e «loro» – la pluralità del titolo italiano – diventa immediatamente una questione interiore, mentale e «di cuore», ma di un cuore «nero».
Il nuovo film delle sorelle Coulin, tratto dal romanzo Quello che serve di notte di Laurent Petitmangin e presentato alla Mostra di Venezia, si svolge nella campagna della Lorena. Narra la storia del vedovo Pierre Hohenberg (Vincent Lindon), operaio delle ferrovie, con un passato da sindacalista di sinistra, e dei suoi due figli: Louis (Stefan Crepon) e Félix, detto «Fus» (Benjamin Voisin). I tre vivono insieme, ma Fus ha cominciato a frequentare un gruppo di neofascisti vicini al Front National lepeniano. Per la prima volta avrà un rapporto teso e conflittuale con il padre, che gli impone una scelta…
Il ballo «solitario» della prima scena era proprio del giovane Fus. Una sequenza di danza analoga alla prima verrà riproposta a metà film: stavolta il ragazzo non è solo, ma è circondato da coetanei sudati, crani rasati e bomber, che si spintonano e si agitano in stile nazi-rock. Forse Fus in realtà è più solo di prima. Arriverà a compiere un gesto estremo, che rovinerà una serie di vite, a cominciare dalla sua.
In un dialogo con il padre, Fus distingue a parole «noi» (bianchi? francesi? non poveri?) e «loro» (i reietti, gli immigrati, gli anarchici, chi la pensa diversamente?). Pierre cerca di fare capire a Fus che l’unico «noi» a cui può riferirsi è quello familiare, e che «loro» non sono che altri esseri umani.
Noi e loro – nell’originale Jouer avec le feu («Scherzare col fuoco») – non cerca facili sociologismi o spiegazioni banali per raccontare le derive «nere» e violente di Fus. Mette piuttosto a fuoco il disagio e la fragilità del ragazzo, per estensione di una generazione, che cerca un modo – evidentemente sbagliato – di colmare un vuoto esistenziale. Inquadra il senso di vacuità diffuso e un profondo disagio interiore. I propri problemi prendono così la forma di un «nemico» da odiare.
Noi e loro riesce a lavorare sul simbolico senza scadere mai nel didascalico. In alcune inquadrature, intravediamo appena Pierre che lavora di notte lungo i binari della ferrovia alla sola luce di un fumogeno rosso. Fus avrà un fumogeno quasi identico e dello stesso colore nella curva degli ultrà. Il contrasto tra la fatica e la vita dura di Pierre e quella adrenalinica e violenta di Fus è anche visivamente vivo e lampante, non è mai sottolineato, dura pochi istanti. Fus non ha saputo raccogliere il «testimone» dal padre? O il padre non è riuscito a consegnarlo al figlio?
Il film delle sorelle Coulin diventerà soprattutto un ritratto non banale e sentito di un amore paterno, ma anche filiale e fraterno (gli affetti della famiglia restano integri perfino nell’animo scuro e tormentato di Fus). L’amore di Pierre per il figlio che ha scelto una strada macchiata di odio e di sangue non si esaurisce. L’uomo parlerà così, rivolgendosi al giudice in un processo in cui è imputato Fus: «Non sono riuscito a impedirgli di prendere una brutta strada… Forse sono io il vero colpevole!».
Come per Fus e per molti giovani francesi la risposta ai problemi è quella più «facile» dell’estremismo di destra. Quello che sembra venuto meno nella società occidentale, in tanti Paesi d’Europa e del mondo, sembra sia il più elementare buonsenso e il rispetto del prossimo. Noi e loro è un film attuale, realistico, e insieme onirico. Tragicamente ipercontemporaneo. Strepitoso il terzetto di protagonisti, in cui spicca il padre, Vincent Lindon, premiato con la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia. Che ne sarà di Fus? E dell’Europa?