
Quando, nel 2010, uscì per l’etichetta «Virgin Records» I Speak Because I Can, Laura Marling era al suo secondo album, in cui dava voce alla «responsabilità, in particolare alla responsabilità di essere donna». Nella title track, la cantautrice inglese si ispirava al romanzo The Penelopiad di Margaret Atwood, per raccontare quella «Odissea» dimenticata quale era stata l’attesa di Penelope a Itaca, facendone un ideale controcanto tutto femminile. Oggi la voce di Marling inglese continua a suggestionare per le venature di malinconico candore con cui esprime le sfumature più impercettibili dell’animo umano.
Nel 2008 Marling, non ancora diciottenne ma già candidata a un Mercury Music Prize, esordisce con Alas, I Cannot Swim. In questo primo album, dove è la complessità delle relazioni a disegnare lo spazio del racconto, la cantautrice sembra voler gettare le basi di un ideale percorso all’interno dell’universo femminile, che trova una compiuta elaborazione nel concept album Semper Femina, del 2017. Il titolo è una citazione di un verso del IV libro dell’Eneide, in cui Virgilio accenna liricamente alla fragilità dell’essere donna: una cifra che la cantautrice rilegge come insostituibile risorsa, ancora una volta tutta femminile.
Una variazione significativa sul tema giunge, però, con il dono di essere madre. Il tema della maternità, vissuta per la prima volta, è al centro dell’ottavo e ultimo album, Patterns in Repeat, pubblicato il 25 ottobre 2024 dalla casa discografica Chrysalis Records. Il desiderio era già stato espresso da Marling nel lavoro del 2020, Song for Our Daughter, e si è realizzato nel 2023, con la nascita della figlia.
L’elemento musicale, luminoso ed etereo come una lunga, dolce e ininterrotta ninna nanna, in Patterns in Repeat è preminente. Quello che dagli esordi è forse il tratto tipico dello stile di Marling, cioè la rarefazione del messaggio a vantaggio della voce e della melodia, nell’ultimo lavoro si condensa definitivamente nell’equilibrio tra significato e suggestione. L’intreccio tra le voci dei genitori e il vagito della piccola, con cui si apre «Child of Mine», descrive – forse meglio dei testi – la novità che viene celebrata nelle 11 tracce, tra le quali si distinguono gli interludi strumentali, gli arpeggi e le sezioni acustiche che si riverberano nell’ambiente domestico e intimo, che fa da cornice, anche fisica, alla registrazione.
Nella magia del setting familiare, la vita è celebrata sia nella sua luminosità sia nel delicato chiaroscuro delle sue tonalità, nella consapevolezza dell’inestricabilità dei sentimenti, in quell’arabesco interiore che la nascita di una figlia e l’avverarsi di un desiderio possono generare. Ad ogni modo, sembra che la maternità abbia indicato alla cantautrice una consapevolezza nuova, non solo compositiva: l’esistenza umana è immaginata come un viaggio e un dialogo tra le generazioni, nella misura in cui è soltanto attraverso la responsabilità di essere donna e madre che la vita, in tutti i suoi significati, può essere trasmessa. In «Child of Mine» questa responsabilità è descritta così: Everything you want is in your reach right now / And anything that’s not I have to teach somehow / Everything about you is intuitive / So those who miss the point might rush right through it («Ora puoi ottenere tutto ciò che desideri / e ciò che non puoi raggiungere devo in qualche modo insegnarlo; / tutto di te è chiaro, / così coloro che non lo comprendono si affretteranno a farlo»).
In Patterns in Repeat, Marling riesce a cogliere, tra le pieghe degli «schemi che si ripetono», quella particella di amore incondizionato che la maternità porta in dono e che rivela, in mezzo ai chiaroscuri del tempo, un orizzonte di eternità: I want you to have a piece of my maternal flame / Part of me, eternity, a tolerance for pain («Desidero che tu abbia un pezzo della mia fiamma materna, / parte di me, eternità, tolleranza al dolore»).