
Di fronte, il grande schermo; sotto, il palcoscenico; davanti, il pubblico, in sospeso tra cinema e teatro, fra spettacolo registrato e dal vivo, tra il mondo del segno filmico e della scrittura scenica: questo è il frame di Strappo alla regola. Una «terra di mezzo» tra teatro e cinema, dove un «personaggio minore» del film horror L’artiglio del gatto, Orietta (Maria Amelia Monti), segretaria di un istituto superiore, fuggendo attraverso uno squarcio dello schermo, si ritrova di fronte Moira (Claudia Gusmano), maschera di sala, con la quale inizia uno scambio sempre più profondo, condotto con leggerezza, brio e ritmo.
Su un palcoscenico scarno, dove campeggia uno schermo cinematografico gigante, due torri luci ai lati, lo svolgimento dello spettacolo vede inizialmente la proiezione di un vero e proprio film – «Cinema o teatro?», si chiede il pubblico –, con Orietta e Paolo (Sebastiano Somma) in coppia, che visitano la villa sul lago, accompagnati dall’agente immobiliare (Asia Argento). Sullo schermo si avvicenderanno vari personaggi: due poliziotti, un giornalista, una sensitiva (Marina Massironi), e la donna che bada ai polli.
Inseguita dall’assassino, Orietta esce dallo schermo e incontra Moira, la quale, preoccupata di perdere il posto, la invita a rientrare, così da permettere al plot filmico di scorrere senza intoppi. Da questa sua prima egoistica reazione si sviluppa un dialogo serrato – ricco di arguzie e gioco teatrale, sovente sui toni della commedia –, che con sapienza induce lo spettatore a lasciarsi condurre dal racconto e disvelamento di sé che le due protagoniste «in carne e ossa» dipanano man mano come un soffice gomitolo. Ed è proprio il felino, il trait d’union chiave tra lo schermo e la scena, l’autore del fatidico strappo.
Edoardo Erba – drammaturgo pluripremiato, autore tra l’altro di Maratona di New York (1992), opera tradotta in 17 lingue e rappresentata in tutto il mondo – dona alle interpreti una tessitura polimorfa, densa di sfumature e in un sottile crescendo. Con una vena giallo-noir (Erba è autore della traduzione italiana del repertorio teatrale di Agatha Christie), la rivelazione delle due donne a sé e al pubblico, morbida come velluto, sfuma il cuore di questo riuscito pas de deux: le relazioni tossiche. Fondamentale riconoscerle, vitale poter uscirne. Moira ne è prigioniera, ma non lo sa, ed è solo attraverso l’incontro e lo scambio con Orietta, donna di un’altra generazione – il film da cui proviene è degli anni Settanta – che riuscirà non solo a prenderne consapevolezza, ma a salvarsi con un coup de théatre risolutivo.
Maria Amelia Monti, fra televisione e cinema, con all’attivo un’intensa carriera teatrale, ci regala un personaggio a tutto tondo, che dall’iniziale apparente tono di remissione e approccio passivo arriva a mostrare un animo forte e uno spirito intraprendente. Come riesce a poche, fa risuonare l’intera catena degli armonici dello spartito scenico: dall’ironia al sarcasmo, dall’innocenza alla solidarietà femminile. Il tema della lotta per i diritti civili e sociali delle donne, di per sé forse scivoloso, qui, attraverso l’alternanza tra il film e il dialogo dal vivo e l’abilità delle interpreti, è risolto in modo ingegnoso senza scadere nel drammatico o nel banale.
Claudia Gusmano restituisce bene un personaggio vittima «al buio», come il suo lavoro precario di maschera al cinema, che solo scontrandosi con un mondo altro – quello di Orietta, l’«aliena», che esce dallo schermo e dall’Italia di cinquant’anni fa, quando la lotta alla società patriarcale era aperta, e si scendeva in piazza con volantini distribuiti nelle scuole – vede l’incubo, ammette la realtà disperata di abuso domestico, aprendosi a una via di fuga, al cambiamento. Così lo spettacolo arriva dritto al cuore, strizzando l’occhio – come in chiusura ci indica Monti – alla nostra umana catastrofe, nel segno dello humour di Gogol, suo epitaffio: «Riderò la mia amara risata».