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«Così vi vuole la nostra patria, uomini e donne senza pregiudizi, senza compromessi, senza mire, senza ideologie, uomini e donne di Vangelo. Soltanto il Vangelo, e se vogliamo possiamo aggiungere un solo possibile commento: quello che hanno aggiunto Wenceslao, Carlos, Gabriel e il loro vescovo, il commento della loro vita». Così, a trent’anni esatti dall’omicidio, l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio descriveva Enrique Angelelli, vescovo martire di La Rioja, assassinato dalla dittatura militare.
Lo aveva conosciuto personalmente il 13 giugno 1973, uno dei giorni più drammatici nella vita del pastore. Quella volta, una folla di braccianti, assoldati dai latifondisti locali, aggredì monsignor Angelelli, giunto nella parrocchia di Anillaco per la festa patronale. Il gesuita Bergoglio, in visita ad alcuni confratelli, si rese conto di trovarsi di fronte a un «pastore che dialogava con il suo popolo». Tanto fedele a quest’ultimo e al Vangelo da sopportare le sassate, le critiche feroci, le minacce, la morte mascherata da incidente stradale. La stessa conclusione a cui, decenni dopo, sarebbe arrivata la Chiesa universale che, il 27 aprile 2019, ha proclamato Angelelli beato. Uno dei tanti «martiri del Concilio» che, al pari di Óscar Arnulfo Romero o Rutilio Grande, hanno segnato in modo indelebile l’America Latina.
Il suo impegno per la costruzione del Regno e la spiritualità profondamente radicata nella Parola lo rendono un riferimento per la Chiesa continentale al pari di Hélder Câmara, Juan Gerardi, Pedro Casaldáliga, Paulo Evaristo Arns e Leonidas Proaño. A differenza di questi ultimi, però, la sua figura è molto meno conosciuta: solo qualche testo in castigliano, pubblicato in Argentina, ne ricostruisce la biografia, cominciata a Córdoba, nel nord del Paese, e terminata sulla strada tra Chamical e La Rioja, dove la sua auto fu mandata fuori strada.
Ecco perché è importante la pubblicazione di questo libro di Anselmo Palini. Un testo rigoroso e attento ma, al contempo, divulgativo, dunque adatto a un pubblico ampio, a cui viene offerto non un santino, bensì un ritratto, dai toni appassionati, di un uomo e di un pastore incarnato nel proprio tempo. I piedi di Angelelli calpestano la terra su cui camminano le donne e gli uomini che sono affidati alla sua cura. Lo sguardo, però, è capace di scorgere un orizzonte più ampio. Per questo, il vescovo non si limita a subire la spirale frenetica di sussulti violenti, culminati nell’ultima dittatura militare. Sa, al contrario, interpretare e discernere le vicende drammatiche – le storie e la Storia – con cui la sua esistenza si intreccia. E da questo matura, con autentica consapevolezza, le proprie scelte. In primis quella di andare avanti nella testimonianza nonviolenta di fraternità, giustizia e misericordia, con coraggio e determinazione. «Hay que seguir andando, no más» («Continuiamo a camminare, senza rassegnarci»), recita una canzone popolare argentina, ispirata proprio a un verso di Angelelli, poeta «frustrato», come dicevano scherzosamente gli amici. Andare avanti, fino alla morte, nella certezza che non è la fine.