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Jenny Erpenbeck è una scrittrice tedesca, nata a Berlino Est nel 1967. Figlia e nipote di intellettuali, autori e registi teatrali, si è formata nel tempo della Guerra fredda nell’ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR), all’ombra del Muro di Berlino.
L’A. raggiunge fama internazionale con il Premio Strega Internazionale nel 2017 per Voci del verbo andare, e la consolida con il recente International Booker Prize nel 2024 per Kairos: il primo scrittore tedesco e il primo romanzo scritto in lingua tedesca a essere premiati.
Romanzo lineare e complesso al tempo stesso, Kairos assembla due vicende di «disfacimento», l’una specchio dell’altra. Da un lato, c’è la storia d’amore tra Hans e Katharina: lui, affermato scrittore sposato; lei, giovane studentessa. Quando si conoscono. l’uomo ha 53 anni e la ragazza appena 19. Storia di amor fou, che cresce nel segreto, tra i ritagli di tempo rubati alla vita familiare, è, nella prima parte, anche un racconto di formazione personale, culturale e artistica, orchestrata da colui che appare come un Pigmalione in edizione berlinese. Dall’altro lato, Kairos è la storia di un Paese – l’ex DDR – che a un certo punto cessa di esistere, implode su sé stesso e nel giro di pochi mesi semplicemente si dissolve. Sono i tempi capitali e tragici a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, il maelstrom che ha al suo centro una data storica: l’11 novembre 1989, con la caduta del Muro di Berlino.
Il romanzo è costruito come una successione di pagine protocollate: 29 brevi capitoli per ciascuna delle due sezioni che lo compongono. Una è la dolce memoria dell’amore che sboccia, l’altra è il baratro dell’amore che sfiorisce. La notizia della morte di Hans attiva in Katharina il recupero della memoria del passato, nel «dialogo» tra carte e appunti, tenuti dall’uno e dall’altra in scatoloni e valigie, tra oggetti e rimasugli della vita di un tempo, memento di un mondo che fu ed è stato travolto. L’epilogo, del quale nulla riveliamo, ci sembra fornire il criterio stilistico del romanzo, la chiave interpretativa anche formale della struttura e della scrittura di Erpenbeck.
Che cosa riportano queste pagine? È la storia di due disfacimenti paralleli e speculari: come il Paese, così la relazione d’amore subisce una svolta tragica e improvvisa dopo un banale tradimento, e ne emerge il carattere violento e persecutorio, persino abusante, contenuto in essa. Pur non dando ulteriori elementi, per non togliere il piacere della lettura, possiamo però dire che le pagine della seconda parte del libro sono spesso un pugno nello stomaco, rendendo quasi intollerabile la lettura. Quel che oggi definiremmo una relazione «tossica» diventa esperienza, mediata narrativamente, di sottomissione psicologica. La lettura restituisce la crudezza dei blocchi affettivi ed esistenziali che possono darsi nelle relazioni d’amore e se la letteratura, come è, apre squarci sull’umano anche nei suoi lati più oscuri, Kairos entra nel novero dei libri da leggere per intendere la vita di altri.
Il riferimento al titolo del film Le vite degli altri è voluto, perché l’A. lo ha sicuramente tenuto presente nella stesura del romanzo. Anche se alcune brevi sezioni non ci hanno convinto – ad esempio, la figura di Sara dal punto di vista narrativo ci sembra superflua –, Kairos è un romanzo vigoroso, scritto con uno stile particolare, che rende la voce di Erpenbeck peculiare.
La formazione teatrale dell’A. emerge fin dall’incipit, con il ricordo di un dialogo sospeso nel vuoto. La spoglia successione delle microazioni (resa graficamente d’impatto anche dal ripetuto andare a capo) che portano all’incontro fortuito dei due personaggi su di un autobus ricorda una sceneggiatura. È il Kairos del titolo, tempo opportuno e unico.
La scrittura prosegue in modo rigoroso al presente storico. Questa scelta stilistica originale conferisce alla narrazione almeno due evidenti caratteristiche. La prima è la gradualità con la quale l’A. esprime le fasi della storia d’amore, sia nel suo lato ascendente sia in quello discendente. La seconda è il carattere freddo dello sguardo del narratore, che osserva con il distacco di una telecamera nascosta le azioni dei personaggi. La banalità dei dettagli di superficie, che talvolta annoia, in realtà nasconde potenti forze sotterranee. Nel momento in cui esse esplodono, travolgono; ciò che appariva epidermide della realtà si rivela scarnificata e dolorosa trasparenza.