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«Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli». È prendendo quale bussola di riferimento il discorso pronunciato da papa Francesco a Firenze, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, il 10 novembre 2015, ma anche il Dietrich Bonhoeffer di Cura d’anime e il Carlo Maria Martini de Il vescovo, che Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, offre ai lettori questo Liber pastoralis.
Nella convinzione, mutuata da Gregorio Magno, che «la cura delle anime è la suprema delle arti» (p. 17), la preoccupazione da cui muove l’autore non è quella di delineare «programmi faraonici», ovvero piani pastorali a beneficio di una comunità ecclesiale già fin troppo «sovraccarica di attese e di bisogni». È invece quella contraria: il tentativo di ritornare ai «gesti essenziali», che sono in grado di rivitalizzare le comunità cristiane – presbiteri compresi, perché «la chiesa di domani sopravviverà solo se sarà la chiesa di tutti» (p. 406) –, sfidando la «grave tentazione dell’accidia pastorale […], per risvegliare la passione della carità» (p. 10).
In questa prospettiva, la riflessione condotta dall’autore ha il merito di porsi non come un ricettario, magari pieno di buone intenzioni a buon mercato, ma come un possibile percorso di maturazione verso la Chiesa del futuro. Ed è un percorso che, in un continuo dialogo con la parola – Scriptura crescit cum legente, ricorda Gregorio Magno – e in uno stile sinodale di cammino – che per certi versi fa tornare in mente alcuni tratti della lettera pastorale Camminare insieme del card. Michele Pellegrino –, muove dagli «stipiti del portale d’ingresso» fino all’«edificio santo, dove si celebra il culto spirituale» (p. 55), per spalancare la Chiesa alla missione al mondo, a un «terreno dell’umano» da vivere senza esenzioni di sorta.
Certo, alcuni nuclei di questa proposta pastorale non possono che essere e riguardare «cose antiche»; tuttavia, al lettore che eventualmente dicesse tra sé, come il personaggio del Vangelo, «tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (Mc 10,20) il vescovo fa volgere lo sguardo verso le «cose nuove», verso cinque sfide dell’attualità che «provocano» la Chiesa a dare risposte creative. Si pensi al problema dell’educazione («l’arte di trasmettere», come è stata chiamata da Nathalie Sarthou-Lajus); a quello di «continuare a testimoniare le cose trasmesse», rivitalizzando «l’atto del trasmettere» (p. 341); o a quello posto dai media, dalla «nuova aurora della comunicazione», incarnata (o disincarnata?) dai media, là dove «il virtuale si costituisce come mondo reale» (p. 279) e diventa punto d’approdo della più grande migrazione dell’umano mai verificatasi prima d’ora. O ancora, al ruolo delle donne nella Chiesa e al dialogo ecumenico e interreligioso, chiamato a dare testimonianza comune sulle grandi crisi del presente, emigrazione in primis. E infine alla questione ecologica, che sta diventando fondamentale nel nostro tempo.
Ecco le nuove rotte additate dall’autore, il quale invita a «non abbandonare la tolda della nave» (p. 339). Non si può che accogliere tale invito, specie in tempi come questi, in cui – continua ad ammonirci Søren Kierkegaard – «la nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani».
FRANCO GIULIO BRAMBILLA
Liber pastoralis
Brescia, Queriniana, 2018, 352, € 18,00.