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La saggistica ha iniziato ad analizzare i tanti aspetti della vita e dell’attività politica di Benito Mussolini fin dagli anni Venti del secolo scorso, quando il regime fascista era appena giunto al potere. Da allora, le opere storiografiche sull’argomento sono state numerosissime: è venuto così ad arricchirsi un dibattito che ha visto sovente la partecipazione di parecchi studiosi stranieri. Nel corso degli ultimi decenni, grazie alla sempre maggiore distanza dagli avvenimenti oggetto delle ricerche, c’è stata la possibilità di procedere a un esame più distaccato del Ventennio, vale a dire meno condizionato da pregiudizi ideologici. Renzo De Felice, ad esempio, ha pubblicato la sua monumentale biografia mussoliniana, e sono state date alle stampe molte altre opere elaborate da storici come Adrian Lyttelton, Alberto Aquarone, Emilio Gentile e Roberto Vivarelli, che hanno cercato di contribuire alla discussione sul fondatore del fascismo, sottoponendo a indagine singoli aspetti e periodi della sua vicenda politica.
Nessuno, però, ne aveva analizzato finora la parabola come se si trattasse di un romanzo, sebbene questo sia un romanzo in cui non c’è nulla che sia frutto dell’immaginazione. Nulla è immaginato del dramma di cui le pagine di questo libro, che ha vinto recentemente il premio Strega 2019, raccontano il primo atto, che si svolge tra il 1919 e il 1925. Avvenimenti che pensavamo di conoscere bene, ma che ora, illuminati dal talento del narratore, ci si presentano in una veste spesso inedita, danno vita a una storia che sembra del tutto nuova e a un’opera che, capitolo dopo capitolo, ci porta a riflettere sulla nostra identità di italiani.
Alternando sagacemente citazioni e pagine scritte di proprio pugno, Scurati racconta dunque il fascismo alla stregua di un romanzo, soprattutto attraverso la voce dei fascisti e senza alcun condizionamento di stampo ideologico: in altri termini, egli persegue lo scopo di integrare lo sforzo analitico della ricerca storica con l’energia che sa sprigionare la letteratura. Fondamentale appare al riguardo l’aspetto stilistico: va quindi osservato come l’autore proceda per periodi abbastanza lunghi, che danno alla pagina un ritmo lento e costante; e come utilizzi un lessico ricchissimo, si avvalga di una scrittura che si caratterizza per incisività e adoperi con grande padronanza i diversi registri espressivi.
Il suo racconto prende le mosse dall’Italia del cosiddetto «biennio rosso»: Benito Mussolini, direttore del Popolo d’Italia, si rivolge agli interventisti, ai reduci, ai mutilati di guerra che avevano visto morire nelle trincee migliaia di commilitoni e si aspettavano dunque di essere ricompensati per le sofferenze patite. Sarà lui a decidere e attuare in seguito la definitiva svolta a destra dei Fasci di combattimento, ad approvare in cuor suo l’intervento armato che porrà fine all’occupazione di Fiume, a guidare la marcia su Roma, a formare un governo di coalizione, ottenendo infine i pieni poteri, a trionfare nelle elezioni dell’aprile del 1924, ad assumersi «la responsabilità politica, morale e storica» dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Il «figlio del secolo», capace di fiutarne gli umori e di coltivare con assoluta disinvoltura l’arte del compromesso, in quello stesso anno aveva affermato: «Bisogna dire senza purismi e senza eufemismi che la mania del purismo e del diciannovismo, a base di vecchie guardie, di fascismo della prima ora o della ventiquattresima, è semplicemente ridicola» (p. 709). Occorrerà invece essere pronti a ogni sorta di manovra, guizzo, capriola.
Una strategia, questa, che gli avrebbe consentito di dominare il partito e di instaurare un regime dittatoriale. Il futuro Duce avrebbe così reso del tutto velleitari i tentativi dello schieramento tradizionale, i cui esponenti avevano sperato di «addomesticare» il movimento fascista, facendone una colonna dello Stato liberale.
ANTONIO SCURATI
M. Il figlio del secolo
Milano, Bompiani, 2018, 848, € 24,00.